22 Novembre 2024

L’astensionismo è il risultato di un processo di lungo periodo in cui si intrecciano fattori demografici, istituzionali, culturali e strettamente politici. C’entra il ricambio generazionale, c’entra la secolarizzazione, c’entra l’indebolimento dei partiti, la sensazione sempre più diffusa che le elezioni non servono a produrre quel cambiamento che gli elettori chiedono

Questa volta non c’è stata una crescita dell’affluenza in Europa rispetto alle precedenti elezioni. Così sembra quanto meno sulla base dei dati al momento disponibili. Nel 2019 invece l’incremento rispetto alle precedenti elezioni era stato di ben otto punti percentuali, invertendo una tendenza al ribasso che durava da molti anni. Rispetto alle elezioni del 2019 si è votato di più in Germania e un pochino di più in Francia, ma si è votato molto meno in Spagna. A conti fatti l’affluenza complessiva nei 27 Paesi probabilmente si attesterà sui valori del 2019

Italia in controtendenza
Non così in Italia. Anche questa volta l’Italia sembra pare in controtendenza come nel 2019. Manca ancora il dato definitivo, ma pare che sia sotto il 50% e certo inferiore al 54,5% del 2019. Il calo sarebbe stato maggiore se non si fosse votato anche in oltre 3mila Comuni con oltre 17 milioni di elettori. Anche se solo la metà di loro fossero andati a votare si tratterebbe comunque di oltre 8 milioni, la maggior parte dei quali – votando per il sindaco – hanno votato anche alle europee. Per stimare questo effetto di traino basta guardare i dati sull’affluenza nei Comuni dove si è votato sia per le europee che per le comunali e quelli in cui si è votato solo per le europee. Da una prima analisi del Cise pare che lo scarto sia in media di 17 punti con nette differenze territoriali: al Nord i punti sono 9, al Sud 24,5. La bassa affluenza alle elezioni europee nel nostro Paese fa parte di un fenomeno più generale di crescita dell’astensionismo.
Nel caso delle europee il fenomeno è più accentuato perché gli elettori considerano queste elezioni meno importanti delle politiche e delle amministrative, ma il fenomeno è lo stesso. Negli anni che vanno dalle prime elezioni europee nel 1979 a queste ultime la affluenza è scesa di 30 punti percentuali. Alle politiche, tra il 1979 e il 2022, è scesa di 26,7 punti, passando dal 90,6% al 63,9 per cento.
Non esiste una singola ragione che spiega questa tendenza. Il fenomeno è il risultato di un processo di lungo periodo in cui si intrecciano fattori demografici, istituzionali, culturali e strettamente politici. C’entra il ricambio generazionale, c’entra la fine delle ideologie, c’entra l’indebolimento dei partiti, la sensazione sempre più diffusa che le elezioni non servono a produrre quel cambiamento che gli elettori chiedono. Tanto meno quelle europee che si svolgono in un contesto in cui è difficile per gli elettori capire la posta in gioco. I partiti le trattano come elezioni nazionali, ma a differenza di queste non servono a cambiare gli equilibri a Roma, mentre degli equilibri a Bruxelles la gran parte degli elettori non sa nulla o quasi. E allora perché meravigliarsi che sempre più persone non vadano a votare? Tanto più che gli si chiede di votare per candidati con cui non hanno rapporti, vista la dimensione delle circoscrizioni, o per leader che non hanno nessuna intenzione di andare a Bruxelles una volta eletti. Gli italiani saranno pure poco informati, ma non sono del tutto sprovveduti. Per votare hanno bisogno di motivazioni. Dove sono oggi in un contesto dove domina la mediocrità?Questa volta non c’è stata una crescita dell’affluenza in Europa rispetto alle precedenti elezioni. Così sembra quanto meno sulla base dei dati al momento disponibili.

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