8 Settembre 2024

Il voto europeo ha effetti diversi dal voto nazionale. Potrebbe essere fuorviante indirizzare il voto nei termini abituali in sede nazionale o locale

In Europa, si avvicina il momento del voto per rinnovare il Parlamento europeo. Sono ormai 45 anni che, ogni lustro, i cittadini degli Stati Ue eleggono direttamente i loro deputati. Durante questo tempo, molto è cambiato negli assetti istituzionali e nella realtà dell’Unione europea che, adesso, è ancorata in termini espliciti ai principi della democrazia rappresentativa. In particolare, il Parlamento ha acquisito la veste di legislatore contribuendo all’adozione di tante regole Ue e i diversi partiti politici nazionali si sono collegati, prima nei gruppi parlamentari e poi in partiti europei. Di recente, si è stabilizzata un’arena politica paneuropea, in cui si cerca il consenso confrontandosi, con frequenza crescente e spesso duramente, con avversari e alleati su scala transfrontaliera, superando gli antichi assiomi dell’interferenza estera o straniera. Inoltre, siamo coscienti che, oggi, l’interdipendenza sistemica fra i paesi Ue travalica l’originario ambito economico, a causa delle gravose e poliedriche sfide da affrontare a livello mondiale.
Le elezioni europee sono di sicuro essenziali e imprescindibili per la vita dell’Unione. Ma dobbiamo anche pensare che si configurino in concreto come quelle nazionali e magari, che vadano collocate su un piano superiore? A ben vedere, la risposta non è affatto evidente e può stridere con ciò che sovente si sente dire. Tre considerazioni base possono aiutare a orientarsi.
La prima è che il nostro voto di giugno definirà i rapporti di forza nell’emiciclo del Parlamento europeo, però non varrà a esprimere una vera e propria maggioranza di governo, nel senso classico che conosciamo in Italia e nei contesti democratici. Infatti, il concetto di «governo» Ue non è univoco. Le decisioni cruciali restano nelle mani degli Stati membri. L’oggettiva guida politica di fondo ce l’ha il Consiglio europeo che riunisce i vertici dei rispettivi governi e che nello scorso quindicennio ha parecchio ampliato il suo spazio di azione. Il potere esecutivo, in senso stretto, è ripartito fra Commissione e Consiglio, quest’ultimo responsabile dei nevralgici settori degli affari esteri e della difesa. Il Parlamento non ha alcun potere su Consiglio europeo e Consiglio. Viceversa, vigila sulla condotta della Commissione, può destituirla nel corso del mandato e ne approva la nomina iniziale, ma la sua composizione scaturisce dalle indicazioni dei vari governi nazionali. Non è, dunque, giustificato presumere che il futuro governo dell’Unione, le sue priorità politiche generali dipendano dal risultato elettorale. Con l’assemblea europea proseguirà il doveroso dialogo, ma le scelte risolutive continueranno a farsi altrove: di conseguenza, che sia più di centro, di destra o di sinistra non ha per nulla le stesse ovvie implicazioni che avrebbe al Senato e alla Camera in Italia.
La seconda considerazione riguarda l’attività legislativa Ue che è intensa e pervasiva, seppure caratterizzata da specificità emblematiche. Da un lato, ai parlamentari è negata la facoltà di proporre nuove normative, perché è attribuita solo alla Commissione. Dall’altro lato, è il Consiglio che adotta quelle nodali di maggiore sensibilità (come in tema di: circolazione delle persone, bilancio pluriennale Ue, fiscalità, tutela della concorrenza), con il Parlamento che resta in posizione ausiliare e per giunta, al Consiglio occorre un consenso all’unanimità che dà a ogni Stato un diritto di veto.
La terza considerazione completa la precedente: se si guarda agli atti legislativi Ue, in media, l’80% richiede il concorso paritetico di Parlamento e Consiglio. Le materie sono rilevanti (industria, agricoltura, economia, energia, lavoro, ambiente…) e coinvolgono la piena potestà dei deputati. Le discussioni fra loro sono vivaci e lo sono altrettanto quelle tra le due istituzioni, tenute a cercare una convergenza. In genere, le soluzioni sul tavolo hanno una natura oltremodo tecnica: si va molto nel dettaglio, fra gli opposti stimoli delle lobby. Per essere influenti, è fondamentale avere una valida preparazione base, studiare i documenti, frequentare sedute e dibattiti: servono perizia, diligenza, pragmatismo e alla fin fine, gli a priori ideologici contano poco.
Alla luce di queste riflessioni, credo si comprenda che potrebbe essere fuorviante indirizzare il proprio voto per il Parlamento europeo, ragionando nei termini consueti, abituali in sede nazionale e locale, di una gara fra partiti che se vincono governano. Così facendo, si sfiora il rischio di limitarsi a intervenire in un mega sondaggio reale sugli equilibri domestici. Invece, le elezioni del mese di giugno sono importanti e soprattutto possono egualmente offrire la singolare occasione per un voto in libera uscita, con davanti svariate opzioni.
Qualche esempio. Se l’obiettivo fosse di esprimere un suffragio utile ed europeista, sarebbe sensato scegliere fra i candidati in virtù della loro posizione più favorevole a un genuino salto di qualità; ma senza farsi troppe illusioni sui seguiti, perché spetta agli Stati membri modificare i trattati base dell’Unione e il Parlamento incide marginalmente dato che non ha, né può darsi, poteri costituenti. Come ovvio, se le simpatie personali fossero anti-Europa, si agirà all’inverso e le forze euroscettiche non mancano, anzi. Infine, dominando le fedeltà o le antipatie di partito, non sarebbe per niente male recarsi alle urne per sostenere, in maniera mirata e a prescindere dallo schieramento e dai facili slogan, candidati davvero competenti e capaci a rappresentare gli interessi italiani in sede europea.

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