23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Nava

Dunque sarà Emmanuel Macron contro Marine Le Pen, in un duello rovesciato rispetto al 2002, quando fu Jacques Chirac ad affrontare Le Pen padre. Allora fu messa fuori gioco la sinistra, oggi tocca sia al partito socialista, sia alla destra gaullista ed è una catastrofe per i partiti che hanno fatto la Quinta Repubblica. La Francia, e l’Europa condizionata dalla sfida per l’Eliseo, sono rassicurate dall’esito del primo turno.
Il giovane ex banchiere senza partito, politicamente collocabile nel centro-sinistra, pone una seria ipoteca sulla vittoria finale. La sua avanzata, sospinta dalla società civile, dai social e dai progressisti orfani dei maggiori partiti, è senza dubbio un segnale di rinnovamento e fiducia in un progetto riformista ed europeo. Ma il contesto in cui si è determinata non autorizza entusiasmi e i giorni che verranno saranno carichi di incertezza e tensione. Il fatto stesso che la partita si giochi ancora contro il Front National, primo partito, e che anomale ammucchiate già annunciate faranno fronte comune per battere il fantasma xenofobo e antieuropeo conferma la dimensione della crisi della società francese e del sistema politico.
La campagna elettorale insanguinata dal terrorismo, intossicata dal virus populista, condizionata da scandali, ha eliminato i favoriti della prima ora e fatto implodere i partiti, lasciando spazio ai movimenti e al rapporto diretto e mediatico fra il candidato e la piazza. I Republicains, che a gennaio avevano la vittoria in tasca, hanno pagato le divisioni interne e gli scandali. Sperano di rifarsi alle legislative, condizionando la maggioranza politica di cui il presidente avrà bisogno all’Assemblea. Circolano ipotesi di grande coalizione, con un occhio interessato alle elezioni che si terranno a settembre in Germania. Ma intanto comincia nella famiglia gaullista una feroce resa dei conti sulla responsabilità della sconfitta. Analogo scenario da lunghi coltelli in casa socialista, dove rivalità e divisioni si sono sommate al mai risolto conflitto fra radicali e riformisti. La probabile vittoria di Emmanuel Macron, sul cui carro sono saliti in corsa personalità ed ex ministri socialisti, non attenua la sensazione di marginalità del partito che fu di Mitterrand.
Il voto conferma la gravità della malattia che lo ha condizionato: il consenso del Front National e la suggestione che i problemi che assillano i francesi siano risolvibili uscendo dall’Europa e abbracciando il nazionalismo protezionista dell’economia e delle frontiere. Le cause sono un insieme complesso di fratture sociali e sfiducia nel ruolo protettivo e storicamente identitario dello Stato con cui il prossimo presidente dovrà misurarsi, peraltro in una situazione economica difficile e con le casse vuote. La malattia ha anche imposto una diagnosi spietata e ultimativa sull’inefficacia del modello d’integrazione e sull’appannamento dei valori fondanti della République, soprattutto in quei territori di «apartheid» etnica, culturale e religiosa che stanno diventando molte periferie. Il blocco sociale che ha ancora fiducia nell’Europa e in un progetto riformista compatibile con le regole di mercato, benché probabilmente premiato dall’aritmetica elettorale, resta ancora minoritario rispetto all’estremismo populista, al radicalismo di sinistra e all’astensionismo. Il prossimo presidente dovrà misurarsi con l’immane sfida di recuperare l’altra metà della Francia.

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