20 Settembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Pietro Matteucci

Il partito conservatore del primo ministro, che aveva indetto le elezioni con la speranza acquistare maggiore vantaggio sugli avversari e avere così le mani libere nei negoziati con l’Unione europea per la Brexit, ottiene meno seggi delle consultazioni precedenti. Il leader laburista invita l’avversaria a dimettersi

Theresa May è prima, ma non ha la maggioranza assoluta: una vittoria che in realtà è una sconfitta bruciante. È questo il verdetto delle elezioni anticipate in Gran Bretagna, indette dalla premier conservatrice con l’obiettivo di accrescere il vantaggio del partito Tory in Parlamento e avere maggiore libertà di movimento nei negoziati con l’Unione europea. Una scommessa che la leader conservatrice ha perso, non riuscendo a superare, ma neanche ad eguagliare, il risultato della precedente consultazione, quando il suo schieramento aveva conquistato 331 seggi. Questa volta il bottino si ferma a 318. Otto seggi sotto la maggioranza assoluta.
Sono stati gli exit poll e le proiezioni prima e i dati reali poi a far capire quasi subito che i sondaggi della vigilia avevano ragione e le cose, per la premier, non si mettevano bene. Al contrario di quanto accadeva per l’avversario laburista Corbin, che ha guadagnato terreno.
Alla fine il partito del primo ministro ottiene un risultato ben lontano dai 326 seggi necessari per avere la maggioranza (la Camera dei Comuni conta 650 seggi). I conservatori saranno costretti a cercare un’alleanza, probabilmente con il partito unionista dell’Irlanda del Nord che – con i suoi 10 seggi – si è detto disposto a trattare per un governo di coalizione.
Theresa May, rieletta deputata con ampio margine nel suo collegio storico di Maidenhead, nella contea del Berkshire, a est di Londra, visibilmente delusa ha sottolineato che il Paese ha bisogno di stabilità e i Tory lavoreranno per garantirla. La leader Tory si è mantenuta prudente sul risultato e si è limitata a dire che il suo partito è accreditato al momento dalle previsioni “del maggior numero di seggi” e di voti. Con un tremito nella voce, ha poi insistito sulla necessità di attuare la Brexit e di difendere “l’interesse nazionale”. “Il Partito conservatore – ha concluso – farà il suo dovere qualunque sia il risultato” finale delle elezioni
Di diverso tenore il discorso di Jeremy Corbyn, anche lui trionfatore nel suo collegio ma soprattutto vincitore morale di queste elezioni: il leader Labour ha riportato il partito ai livelli del 2010, recuperando una trentina di seggi. “Abbiamo cambiato la politica, in meglio” è stato il suo primo commento. “Voglio mandare il mio grazie tutti coloro che hanno votato per il  nostro programma e per la sua radicale visione di una Gran Bretagna più giusta”, ha scritto. Poi, parlando mentre ancora si contavano le schede, il leader del partito Laburista ha sottolineato che le persone hanno votato per la speranza e per il futuro: “Basta austerity. Spazio a un governo che rappresenta tutti”.  Poi, rivolto all’avversaria, l’ha esortata a un passo indietro: “Theresa May ha perso sostegno, ha perso seggi e ha perso voti, io credo sia abbastanza perché se ne vada”.
E le voci che invitano la pemier a “valutare la sua posizione”, si moltiplicano con il passare delle ore. C’è già chi pensa a possibili successori: il Financial Times, ad esempio, elenca come candidati possibili Boris Johnson, Amber Rudd, David Davis, Michael Fallon.

Governo difficile
Il risultato delle urne rende difficile formare un governo: il portavoce dei Liberal Democratici (che hanno ottenuto 13 seggi), Menzies Campbell, ha detto a caldo: “Mi sembra molto difficile che il nostro leader possa entrare a far parte di una coalizione”. La presidente del partito Sal Brinton ha spiegato che i Libdem non intendono collaborare né col Labour né coi Tories perché entrambi sono in favore di una “hard Brexit”. Quindi non è possibile una coalizione per le “grandi differenze politiche” fra i partiti.
Un’apertura arriva, invece, dal Dup, che, con i 10 seggi conquistati, uniti ai 318 che le proiezioni attribuiscono a Tory, potrebbero garantire a May la maggioranza, sebbene molto risicata. Ma prima della fine del conteggio delle schede, arrivano i primi paletti: uno dei leader del partito, Foster, ha precisato che “nessun vuole vedere una hard Brexit”. E aggiunge: “Abbiamo sempre avuto difficoltà a lavorare con Jeremy Corbyn”

Labour verso primo incremento seggi
Con 32 seggi in più rispetto alla precedente consultazione, il Labour segna il primo incremento di posti in Parlamento dalla prima vittoria di Tony Blair nel 1997. Da allora il Labour ha continuato a perdere punti, anche quando alla guida c’era ancora Blair e uscì vincitore dalle elezioni nel 2001 e nel 2005. Soddisfatti i colleghi di Corbyn: il vice leader Tom Watson, rieletto con ampia maggioranza nel suo seggio londinese, ha dichiarato che il risultato “mina l’autorità di Theresa May”, che la leader Tory è ora “un primo ministro lesionato e potrebbe non riprendersi più”.
Watson è stato duro pure con i media, in un successivo intervento alla Bbc, accusandoli di aver “demonizzato il leader del suo partito”, riportandone in modo non corretto il messaggio, e di essere stati anche loro “sconfitti” dal voto.

Delusione Tory
Le aspettative dei conservatori, alla vigilia, erano basate su presupposti precisi: qualunque risultato inferiore alla maggioranza del Parlamento uscente, di 330 deputati, sarebbe stato negativo. Corbyn, invece, mirava ad ampliare l’esito incassato dal Labour nel 2015 sotto la guida del suo predecessore Ed Miliband, che era stato del 30,4%. “Dobbiamo aspettare i dati reali”, ha commentato in modo non certo entusiasta il ministro della Difesa britannico Michael Fallon prima dei dati finali, sperando in un errore delle proiezioni.
Sia il partito conservatore che quello laburista sono entrambi dati al di là di quota 40% di consensi nazionali (circa 6 punti in più per i Tory, circa 10 per il Labour), con un rilancio del dominio bipartitico. Per Corbyn si tratta di un ritorno alle percentuali ottenute da Tony Blair nella sua seconda vittoria elettorale, nel 2001 (e nettamente meglio dello score riportato dallo stesso Blair nel 2005), mentre per Tory per trovare un risultato oltre il 40% bisogna risalire alla vittoria di John Major nel 1992 o, ancor prima, a Margaret Thatcher.

Indipendentisti scozzesi perdono quasi venti seggi
In calo piuttosto netto gli indipendentisti scozzesi dell’Snp di Nicola Sturgeon, indicati ancora come primo partito nella loro roccaforte del nord, ma con 35 seggi contro i 56 (su 59 totali della Scozia) di due anni fa. Alex Salmond, storico ex leader degli indipendentisti scozzesi dell’Snp, resta fuori dal parlamento di Westminster. Salmond, artefice e protagonista del referendum per la secessione della Scozia dalla Gran Bretagna perso di misura nel 2014, è stato sconfitto nel suo collegio di Gordon da un rivale unionista del Partito Conservatore. Commentando l’arretramento complessivo dell’Snp e l’avanzata del suo partito nella regione del nord, la leader Tory in Scozia, Ruth Davidson, ha detto da parte sua che l’idea di un secondo referendum per l’indipendenza “è morta”.

Dove finiscono i  voti Ukip
Merita un’analisi quanto avvenuto nel collegio di Basildon South and Thurrock East dove, due anni fa, Ukip aveva il 25% dei voti, 12mila, più del Labour. Oggi è crollato a tremila voti. I novemila che mancano, dove sono? In gran parte (7mila) ai conservatori, mentre il Labour conquista all’incirca gli altri duemila, più una quota dei voti LibDem. In ogni caso, il collegio era e resta in mano ai conservatori.

Sterlina in picchiata
Crollo brusco per la sterlina scatenato dai primi exit poll in Gran Bretagna. Sull’unico mercato aperto, quello delle valute, la sterlina è crollata del 2% a 1,28 sul dollaro e sotto all’1,14 sull’euro.

Affluenza al 68%
È cresciuta di due punti, rispetto al 2015, l’affluenza alle urne che si è attestata oltre il 68%.

Tre volte alle urne
Sono stati 46,9 milioni i cittadini britannici chiamati a esprimere la loro preferenza per la terza volta in tre anni: dopo il voto del 2015 e il referendum che ha decretato la Brexit nel 2016, i sudditi di sua maestà sono tornati alle urne in un clima di paura, dopo i recenti attacchi di Manchester e Londra.

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