21 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Umberto Rosso
Il capo dello Stato attento agli appelli sullo Ius soli, ma l’approvazione della legge sembra oramai una missione impossibile. Convocherà i presidenti di Camera e Senato e, sentito il loro parere, emanerà il decreto di scioglimento dei due rami del Parlamento, controfirmato dal premier. Data probabile delle prossime elezioni, il 4 marzo


Il presidente della Repubblica ha ormai la penna in mano per firmare lo scioglimento delle Camere che, preso atto della conclusione della legislatura, potrebbe siglare già  giovedì. E il Consiglio dei ministri – che domani si riunisce ma per parlare delle missioni all’estero – probabilmente lo stesso 28 dicembre (o al massimo venerdì) varerà il decreto che fissa le nuove elezioni per il 4 marzo prossimo.
Il timing sull’asse Quirinale-Palazzo Chigi è definito. Gli appelli di ‘Italiani senza cittadinanza’, oltre di Radicali e Verdi, ma anche di esponenti del Pd, che hanno chiesto a Sergio Mattarella un rinvio per tentare di approvare lo Ius soli, trovano il capo dello Stato molto attento e sensibile al tema cittadinanza. Ma il clamoroso flop del numero legale in Senato l’ha trasformata praticamente in una missione impossibile.
A malincuore perciò al Quirinale, che si era speso molto per un via libera, si registra come ancora una volta nei partiti siano saltati numeri e volontà per far passare la legge. Scenario che non cambierebbe anche accordando dei tempi supplementari. Con il rischio di altri scivoloni e nuove pessime ‘esibizioni’ politiche.
Così, il giorno buono per la firma dello scioglimento resterebbe dopodomani, quando al rientro dalla pausa natalizia il capo dello Stato chiamerà al Colle i presidenti della Camera e del Senato. Ascoltati Pietro Grasso e Laura Boldrini, il capo dello Stato metterà in moto la procedura con la sua firma al decreto dello scioglimento del Parlamento.
E ne darà l’annuncio con un comunicato ufficiale del Quirinale: “Sentiti il presidente del Senato della Repubblica e il presidente della Camera dei deputati, il Senato e la Camera sono sciolti”. Nello stesso giorno il premier Paolo Gentiloni sarà impegnato, in mattinata, nella conferenza stampa di bilancio, a Montecitorio. Il Consiglio dei ministri potrebbe tenersi nello stesso pomeriggio o al massimo venerdi, con all’ordine del giorno la data di svolgimento delle prossime elezioni, un compito che spetta al governo.
Verrà indicato il  4 marzo, fissando i tempi di apertura della campagna elettorale e della convocazione della prima seduta delle nuove Camere. Con questo decreto in tasca, Gentiloni salirà al Quirinale. Il premier controfirma il decreto di scioglimento del Parlamento emanato dal capo dello Stato, Mattarella a sua volta firma il decreto di Palazzo Chigi con la data del voto. Gentiloni non si dimetterà. Il presidente della Repubblica lo pregherà di restare in carica, ringraziandolo per il lavoro svolto nell’ultimo anno.
E non pare solo un ringraziamento formale, perché potrebbe ancora esserci bisogno di lui, dopo il voto. Anche se il presidente della Repubblica, nonostante gli scenari da sabbie mobili post elettorali, come ha detto negli auguri di Natale alle alte cariche, guarda con “fiduciosa serenità” all’appuntamento. Concetti che ribadirà nel discorso del 31 dicembre agli italiani. Anche se c’è un pericolo in agguato: la fuga dalle urne. Per scongiurarla, Mattarella si è augurato che vengano avanzate proposte “comprensibili e realistiche, capaci di suscitare fiducia, sviluppando un dibattito intenso, anche acceso ma rispettoso”.
È, questa, una strada per “ridurre astensionismo elettorale e disaffezione per la vita pubblica”. Il capo dello Stato inoltre invita a non temere gli effetti della nuova legge elettorale, mentre comincia il conto alla rovescia verso le urne. Per Mattarella infatti ilRosatellum ha introdotto “regole omogenee e non dissonanti”. Nel merito le opinioni possono essere “legittimamente difformi” ma rappresentano “il risultato di una scelta del Parlamento”.
Ovvero, chi gli aveva chiesto di bocciarla come incostituzionale
non ha fatto i conti proprio con il dovere della firma su una decisione a grande maggioranza delle Camere. Una scelta che evita “l’anomala condizione” di chiamare al voto gli elettori con quel che restava di due leggi parzialmente cancellate dalla Consulta.

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