I lepenisti hanno metà dei seggi «previsti» ma ne guadagnano 36; i macronisti invece esultano, ma ne hanno persi in tutto 85
Più che quello dei seggi — guadagnati o persi, sia rispetto alle proiezioni che alle elezioni del 2022 — il numero che ha forse deciso le legislative francesi è stata una percentuale: quella dell’affluenza.
Era la partecipazione, infatti, la grande incognita del secondo turno. E gli analisti concordavano su una previsione: più bassa l’affluenza, maggiori le speranze per il Rassemblement national di avvicinarsi ai 289 deputati che gli avrebbero garantito la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, e viceversa. Un’incognita perché, se al primo turno la percentuale di cittadini votanti è stata la più alta dal 1997 — 66,7 per cento, contro il 47,5 per cento di due anni fa — si pensava che al secondo turno molti elettori non sarebbero tornati alle urne: le decine di desistenze avrebbero scoraggiato gli elettori di centro e sinistra. Al contrario: anche domenica l’affluenza ha superato ancora di pochi decimali il 66 per cento, con il risultato che l’Aula uscita dalle urne è assai diversa da quella immaginata da sondaggi e previsioni.
Innanzitutto, l’«onda blu scuro» dei lepenisti non ha preso forma; e il partito guidato da Jordan Bardella si è fermato a 125 seggi, poco più della metà di quelli che gli venivano assegnati quando, lo scorso martedì, i duelli e le triangolazioni sono stati definiti. Sicché il Rn, pur avendo conquistato il 29,2 per cento dei voti al primo turno e il 32 al secondo, è insieme ai transfughi gollisti la terza coalizione, con 143 eletti. Cifre che rispecchiano quelle ottenute un mese fa alle Europee, e che hanno comunque garantito all’ex Front national un allargamento della propria truppa parlamentare rispetto agli 88 seggi dell’Assemblea uscente (nel 2022 i voti raccolti furono il 18,6 per cento e il 17,3).
Chi ha da esultare è senza dubbio la grande coalizione di sinistra, il Nuovo fronte popolare, che si ritrova in testa con 184 seggi: per la precisione, 78 per la France insoumise di Jean-Luc Mélenchon — che ne aveva 75 — seguita da un rilanciato Partito socialista, passato da 31 deputati a 69 (una ventina in più rispetto alle proiezioni di sette giorni fa). Indietreggiano i comunisti, che scendono a 9 eletti perdendone 13, e crescono i Verdi, che ne guadagnano 5 (ora ne hanno 28).
Il centro si trova, geograficamente e numericamente, a metà tra coalizioni. Merito, anche qui, delle desistenze, che hanno permesso a Macron e alleati di far eleggere in tutto 166 parlamentari. Renaissance, il partito del presidente, ha raccolto un insperato successo: ne ha 99, una settantina in meno che nel parlamento sciolto il 9 luglio; ma le previsioni gliene assegnavano meno di 80.
Tutte le formazioni della galassia macronista sono andate meglio del previsto: Horizons, il partito dell’ex premier Édouard Philippe, tiene con 26 deputati (erano 30, secondo i sondaggi si sarebbero dimezzati); il Mouvement démocrate scende da 51 a 33, una decina di eletti in più di quelli che si pensava. Anche i Républicains sono stati una sorpresa: avevano 62 deputati, il leader Éric Ciotti se n’è andato con Le Pen, le proiezioni si fermavano a meno di trenta eletti, alla fine sono stati 39. I seggi sono assegnati: ora toccherà ai maieuti del parlamento parigino, pallottolieri alla mano, estrarre una maggioranza da questo mosaico.