19 Settembre 2024

Oggi, 4 luglio, i britannici alle urne per le elezioni anticipate volute da Sunak. Il Labour di Starmer è in vantaggio: può avere una maggioranza record. I conservatori rischiano di perdere il governo dopo 14 anni 

Il Regno Unito va al voto per rinnovare il parlamento di Westminister, con il Labour di Keir Starmer in testa a tutti i sondaggi e pronto a conquistare il governo. I conservatori di Rishi Sunak negli ultimi giorni di campagna elettorale hanno sfoderato l’unica arma che rimane: «Non date ai laburisti un assegno in bianco». Anche se ci sono ancora molti collegi in bilico e la maggioranza potrebbe oscillare, il 2024 rischia di essere l’annus horribilis per i Tories, che dopo 14 anni potrebbero perdere Downing Street e fare il risultato peggiore dell’ultimo secolo.

Perché si vota in anticipo
La scadenza naturale della legislatura sarebbe dovuta essere a metà dicembre e tutti si aspettavano un voto in autunno, ma con una mossa a sorpresa a fine maggio Sunak ha annunciato lo scioglimento del parlamento di Westminister, portando così il Regno Unito a elezioni anticipate. Di fronte a sondaggi negativi, con questa scelta Sunak ha provato a puntare su dati economici che gli sorridono e su un’inflazione tornata sotto controllo.

Quando si vota: date e orari
Giovedì 4 luglio circa 47 milioni di britannici sono quindi chiamati alle urne per eleggere i 650 membri della Camera dei Comuni, che rappresentano i collegi in cui è diviso il Paese e che resteranno in carica fino al 2029. Dopo la modifica delle circoscrizioni elettorali, all’Inghilterra – che da sola rappresenta l’80% degli abitanti del Regno Unito – sono stati assegnati 543 seggi (10 in più rispetto al 2019), alla Scozia 57 (2 in meno), al Galles 32 (8 in meno) e 18 all’Irlanda del Nord, numero invariato rispetto a cinque anni fa. Si voterà dalle 7 alle 22 (le 23 in Italia), subito dopo ci saranno gli exit polls.

Il sistema elettorale
Il Regno Unito è la patria del maggioritario puro: il sistema elettorale britannico prevede che, in ogni collegio, viene eletto il candidato che prende anche un solo voto in più degli altri. In gergo viene chiamato “first past the post”, passa solo il primo, o “winner takes all”, chi vince prende tutto.
Le sue radici risalgono al Medioevo ed è stato poi usato per tutta la storia democratica del Paese. Il maggioritario puro britannico ha l’effetto di premiare il partito principale, più del suo risultato in termini proporzionali, che spesso in questo modo ottiene i seggi per governare stabilmente e da solo. Proprio per questo meccanismo, il leader del partito vincente diventa premier (anche se non necessariamente lo rimane per i successivi cinque anni: ad esempio, nell’ultima legislatura si sono avvicendati tre capi del governo – Boris Jhonson, Liz Truss e Rishi Sunak – ma questo è dipeso più da equilibri interni ai conservatori che da quelli del parlamento di Westminister).

Gli schieramenti in campo
I due partiti principali nel Regno Unito, quelli che si alternano al governo da decenni, sono i conservatori e i laburisti. Ma non sono le uniche formazioni che si affronteranno alle urne. Nigel Farage, primo fautore della Brexit, è sceso nuovamente in pista riprendendosi – dopo aver detto che non lo avrebbe fatto – la guida del Reform. Ci sono poi i liberaldemocratici di Ed Davey, e il Green Party guidato da Carla Denyer e Adrian Ramsay.
I laburisti di Starmer sono in testa secondo tutti i sondaggi. La speranza dei Tories, sottolineata da Sunak negli ultimi comizi, è di una risalita in extremis che limiti il successo dell’attuale opposizione (la supermaggioranza viene così utilizzata come spauracchio per gli indecisi: cosa farà il Labour se non avrà alcun freno?). In realtà ci sono ancora molti seggi in bilico, e il distacco potrebbe essere più o meno ampio anche per una manciata di voti in ogni collegio conteso.
II vantaggio sui conservatori delineato dai pronostici spaventa i laburisti perché occorre che la gente si ricordi che ogni voto conta e che vada a votare, e perché in un sistema elettorale come quello britannico anche poche preferenze fanno la differenza. In ogni caso, la loro vittoria sembra scontata: le proiezioni indicano che otterranno circa il 40% dei voti e fino a 420 dei 650 seggi della Camera dei Comuni (217 in più rispetto al 2019). Ne bastano 326 per raggiungere la maggioranza. L’incognita sembra più la portata della vittoria che la vittoria stessa: con questi sondaggi potrebbero superare il risultato di Blair che nel 1997 ha conquistato 419 seggi e una maggioranza di 179, record per qualsiasi partito.
Per i conservatori si profila la possibilità di una sconfitta senza precedenti e, di conseguenza, il problema è come affrontare il dopo. È dal 1906 e i tempi di Arthur Balfour che i Tories non scendono sotto i 140 deputati. Ma questa volta i sondaggi danno i conservatori al 20%, con una proiezione – secondo YouGov – di 108 seggi (oltre 250 in meno rispetto a cinque anni fa). Il risultato, se confermato, richiederà un esame di coscienza e una nuova direzione: se virare a destra – con elementi come Suella Braverman, ex ministro degli interni – oppure riposizionarsi al centro sarà tra le questioni che il nuovo leader dovrà considerare.
Farage è invece dato al 15% ed è accreditato al terzo posto nei suffragi ma, per via della legge elettorale (conta il risultato nei collegi, non quello generale) potrebbe incassare cinque seggi: comunque un “successo”, considerato che nel 2019 si fermò al 2% e nel 2015 prese il 12,5% ma non elesse nessuno alla Camera dei Comuni (perché nessuno era arrivato primo nei collegi). Con un 12% circa ma con consensi più concentrati sul territorio, secondo i sondaggi i liberaldemocratici potrebbero eleggere una cinquantina di rappresentanti (ma secondo altre proiezioni potrebbero addirittura superare i conservatori).

I temi e i programmi
Dopo una campagna elettorale durata poco più di un mese, i temi che premono alla gente, stando ai sondaggi, sono l’economia, la sanità, l’immigrazione, le case, l’ambiente. Come vivere meglio, insomma, sullo sfondo delle difficoltà dei giovani nel trovare un impiego e pagarsi l’affitto, servizi allo stremo, il costo della vita.
Lo slogan dei laburisti è “cambiamento”: dopo 14 anni di governi conservatori – l’ultimo premier laburista era stato Gordon Brown nel 2010 – è ciò di cui l’elettorato britannico sembra avere voglia e bisogno. Intanto negli ultimi quattro anni un cambiamento c’è stato anche nella linea del partito, con il “più moderato” Strarmer che nell’aprile del 2020 ha sostituito Jeremy Corbyn. Assicura di non aumentare le tasse sul reddito, di non gonfiare la spesa pubblica e promette il salario minimo. Il programma del Labour prevede poi l’innalzamento al 20% dell’Iva sulle rette delle scuole private per potenziare l’istruzione pubblica e la paga dei professori. Sull’ambiente è previsto un investimento di 3 miliardi e mezzo di sterline per la transizione green, l’espansione della tassa sugli extra-profitti per il settore oil&gas e il bando della vendita di veicoli a benzina o diesel dal 2030 (rinviato dai conservatori). Strarmer, poi, si è impegnato ad abolire il contestato programma di trasferimento dei migranti irregolari in Ruanda. In politica estera, sostegno a Kiev e Israele (su entrambi i fronti Corbyn ha idee diverse), anche se la leadership del partito si è impegnata a rispettare le decisioni delle Corti de L’Aja sui vertici israeliani e di Hamas.
Sunak e i conservatori hanno puntato molto sull’economia e sull’immigrazione: sul primo punto hanno rivendicato la sfida vinta sull’inflazione e una crescita superiore alle stime, sul secondo – tema enfatizzato da Sunak soprattutto negli ultimi giorni – hanno confermato il “piano Ruanda” e promesso un tetto agli ingressi nel Paese. I conservatori si sono impegnati ad alzare al 2,5% del Pil la spesa per la Difesa (con conseguente sostegno alla Nato, all’Ucraina e a Israele), a contenere i costi del welfare e a tagliare il numero di dipendenti pubblici. Sull’ambiente, poi, nessuna “tassa green” e la costruzione di una nuova centrale nucleare.
Reform di Farage si presenta con una piattaforma populista e di destra. I possibili ostacoli non mancano: se una parte dell’elettorato ricorda e apprezza la sua campagna per l’uscita dall’Unione europea, piacciono meno l’amicizia con Donald Trump – per il quale Farage continua a raccogliere fondi in Gran Bretagna –, l’ammirazione per Vladimir Putin «come operatore politico» e le tendenze razziste del partito. Aveva fatto scalpore una sua frase sul premier Sunak, che ha origini indiane: «Non capisce la nostra cultura e la nostra storia», aveva detto a riguardo della partenza anticipata del premier dalla cerimonia in onore dello sbarco in Normandia. Dopo sette tentativi falliti, mr. Brexit spera nella sua prima elezione a Westminister nel seggio di Clacton, nell’Essex.

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