Nello scontro violento tra Donald Trump e Kamala Harris non si sono sentiti i movimenti giovanili e nessuno ha parlato a loro
In questi ultimi giorni di campagna elettorale si sono moltiplicate le analisi sul voto dei giovani. In particolare della «Generazione Z» che comprende gli adulti con un’età compresa tra i 18 e i 29 anni. In quanti andranno alle urne? Chi sceglieranno tra Kamala Harris e Donald Trump? Quali sono i loro desideri, le loro speranze?
È strano che si debbano compulsare i sondaggi o le ricerche sociologiche per carpire un qualche indizio. I movimenti giovanili sono sempre stati tra i protagonisti assoluti della politica americana. Senza andare troppo lontano, basta ricordare l’entusiasmo delle ragazze e dei ragazzi che trascinarono l’inaspettata cavalcata di Bernie Sanders nelle primarie del 2016. Un bis soffocato solo dalla pandemia nel 2020.
Le proteste, ma anche le proposte, delle nuove generazioni hanno segnato l’agenda del dibattito politico. Chi, se non i giovani, hanno trasformato la discussione sul «climate change» in un’emergenza sociale impellente? I rabbiosi cortei dopo l’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto bianco, a Minneapolis nel maggio del 2020, hanno costretto l’establishment del Paese a un doloroso esame di coscienza su razzismo e diritti civili. Nel giugno del 2022 sono state soprattutto le giovani donne a radunarsi davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti, nel giorno in cui fu resa pubblica la sentenza che cancellava le garanzie federali sul diritto all’aborto. Tutta questa energia, questa spinta si è come dissolta. Fatta salva qualche iniziativa alimentata da gruppi spontanei sui social, come «Gen-Z for change» o «NextGen America» che, su «Tik Tok», spingono i coetanei ad andare a votare.
Nemmeno le guerre hanno smosso gli animi.
D’accordo, nessuno si aspettava mobilitazioni come quelle degli anni ’60 contro il conflitto in Vietnam o per l’invasione dell’Iraq nel 2003. Abbiamo assistito solo alle occupazioni in alcuni campus universitari a favore dei palestinesi, ma con slogan anti-israeliani talmente estremi da non poter essere condivisi su larga scala. Silenzio e indifferenza, invece, sull’occupazione putiniana dell’Ucraina. Un crimine che avrebbe potuto mettere insieme la sinistra pacifista, i libertari e i difensori dei «valori americani» che si riconoscono nella tradizione conservatrice.
I giovani arrivano a queste elezioni senza guida, senza veri punti di riferimento. A sinistra, Sanders, 83 anni, si è mosso poco. La sua erede designata, Alexandria Ocasio-Cortez, 35 anni, ha cercato di agganciare le nuove leve, ma badando soprattutto a convogliare verso Kamala Harris il consenso delle minoranze etniche. E, in ogni caso, la dinamica politico-psicologica sembra cambiata: la leader parla da un palco; i ragazzi e le ragazze, quando ci sono, si limitano ad applaudire.
L’idea è che i giovani vadano più catturati che ascoltati. Tanto che la vice di Joe Biden ha pensato di poter attirare attenzione e forse anche consenso, coinvolgendo le star dello spettacolo. Fa un po’ di tristezza pensare che i grandi strateghi del partito democratico abbiano deciso di puntare sugli «appelli» di Taylor Swift o Beyoncé, le due pop star più note del pianeta. Siamo passati dal richiamo delle idee al marketing musical-politico: in fondo anche questa è una forma di populismo.
Lo staff repubblicano ha investito sui social e, di nuovo, su «Tik Tok», dove Trump ha accumulato 12,7 milioni di follower, contro i 6,8 di Kamala, i cui video, però, sono visti dal doppio degli utenti. Ma la rete è servita sostanzialmente solo da amplificatore per slogan già noti.
In realtà Harris e Trump si sono occupati di giovani solo marginalmente. Le priorità erano altre. Per la candidata democratica: economia, donne, piccole imprese e ceto medio; per il repubblicano: prezzi, dazi, immigrazione e criminalità. Tanto che, nell’unico confronto televisivo, il 10 settembre scorso, né l’una né l’altro hanno pronunciato la parola «giovani». Neanche una volta.
Ora, alla vigilia dell’«election day» si rifanno tutti i conti. Anche quelli che riguardano la Generazione Z: 42 milioni di persone su una popolazione totale di 335 milioni. Secondo le stime, alla fine la percentuale dei giovani che andrà effettivamente alle urne si aggirerà intorno al 55-60%, più o meno in linea con il resto dell’elettorato. In generale, segnala una ricerca dell’«Harvard Youth Poll», circa il 70% sceglierà Kamala Harris e solo il 30% Donald Trump. Il vantaggio della democratica, però, si ridurrebbe a una media di 9 punti percentuali nei sette Stati in bilico: Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, North Carolina, Georgia, Arizona e Nevada.
Il quadro, tuttavia, è in movimento, come spiega l’istituto «Circle» della Tufts University (Massachusetts). In Michigan, per esempio, si è registrato per votare il 12% di giovani in più rispetto alle presidenziali del 2020. Ma in Pennsylvania si nota un calo del 6% rispetto allo stesso anno.