20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Clinton

di Paolo Valentino

Il patto con Bill, l’alleanza con Barack, il legame sorprendente con Michelle: tre carte a cui Hillary affida le sue speranze di vittoria

NEW YORK Nel luogo dove i padri fondatori siglarono il patto originario della nuova nazione, in quella Spianata dell’indipendenza che annoda tutti i fili della Storia americana, Hillary Clinton e Barack Obama, Bill Clinton e Michelle Obama hanno chiuso ieri sera la più importante battaglia della loro vita.
Giustificata dagli ultimi sondaggi, una nota di ottimismo sull’esito della contesa ha segnato la notte di Filadelfia, scandita in musica da Bruce Springsteen e Bon Jovi. Quasi un equivalente politico dei Supereroi di The Avengers, i quattro cavalieri della Camelot democratica hanno offerto un argomento forte e appassionato in favore di Hillary Clinton. Dove il simbolismo della «ever perfect Union», l’Unione in continuo perfezionamento immaginata dai costituenti, è stato sfondo perfetto per il messaggio di inclusione, progresso, giustizia e forza, con cui la prima donna della storia a un passo dalla Casa Bianca sembra prevalere su quello divisivo, nativista, xenofobo e a tratti eversivo del suo avversario.
Ed è destino singolare quello che in un momento fatale lega i Clinton e gli Obama, due coppie ormai vicine e simbiotiche, eppur lontane e opposte per indole, cultura e visione del mondo. Potenza della politica, nel senso alto del termine, che ha vincolato gli uni dagli altri, in un rapporto quasi esistenziale di reciproca dipendenza. Dove Barack Obama sa di non essere lui il custode della propria legacy, l’eredità che una presidenza repubblicana potrebbe smantellare pezzo per pezzo (dalle norme ambientali, alla sanità) e che solo l’elezione di Hillary può garantire e cementare per sempre. E dove Hillary Clinton sa che solo l’impegno straordinario e senza precedenti in suo favore, profuso da un presidente in carica nella campagna appena conclusasi, può assicurarle oggi la mobilitazione della nuova coalizione democratica, forgiata da Obama nel 2008 e nel 2012, senza la quale non potrebbe vincere.
A incarnare più di tutti questa consapevolezza è stata forse Michelle Obama, first lady riluttante ma trasformatasi nella «migliore arma elettorale» dei democratici, protagonista della Convention di Filadelfia con un discorso memorabile, «quando loro volano basso, noi voliamo alto», infaticabile maratoneta di decine di comizi. E se Bill Clinton è stato tenuto ai margini dell’ultimo miglio, per timore che la sua indisciplinata brillantezza facesse ombra alla moglie, gli Obama non hanno dimenticato che fu lui, con il discorso alla Convention di Charlotte quattro anni fa, a rilanciare la corsa fin lì languida e poco efficace di Barack. Non era scontato. La strada che ha portato i quattro Supereroi verso il palco di Filadelfia è stata accidentata. «Se non sai governare la tua famiglia, non puoi governare la Casa Bianca», fu una delle frasi più celebri di Michelle nel 2008.
Mentre Barack, in un dibattito rimasto agli annali, a Hillary che si definiva «ferita» dall’accusa di non essere simpatica, diceva con sufficienza: «Sei simpatica quanto basta». «Shame on you Barack Obama», vergognati, urlava Hillary, dopo che lui aveva distorto ad arte le sue posizioni sul commercio internazionale e la riforma sanitaria. «Quelli di Obama raccontano favole», rincarava Bill, guadagnandosi l’accusa di giocare la carta razziale (e un po’ lo fece). Poi, per amore e per forza, Hillary e Barack camminarono insieme: a Unity, New Hampshire, nel giugno 2008 e per quattro anni nell’Amministrazione.
Sono le storie e i caratteri a essere inconciliabili. I Clinton figli del ’68, studenti impegnati e brillanti, primi baby boomers ad arrivare al potere, ansiosi di status politico ed economico, disinvolti nel rapporto col denaro, progressisti per biografia (anche se lei aveva lavorato per l’ultraconservatore Goldwater). Gli Obama, afroamericani della generazione post sessantottina, educati ad Harvard, lei cresciuta nella Chicago della segregazione, lui giovane principe meticcio, «il padre dal Kenya, la madre dal Kansas», nato alle Hawaii e cresciuto in Indonesia. Il senso del potere per i Clinton, pronti a sacrificare tutto per averlo. Il potere come una delle strade possibili, per gli Obama. Ma di tutto questo, ieri notte a Filadelfia, non c’era traccia. Oggi per Hillary e Barack, Michelle e Bill, la Storia si fa insieme. O non si fa.

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