24 Novembre 2024

Il ministro degli Esteri israeliano in visita a Roma, andrà anche in Vaticano. «Le violenze dei coloni contro i villaggi palestinesi? Siamo uno Stato di diritto, sono contrario al fatto che i cittadini si facciano giustizia da soli»

A chi gli ricorda, anche tra gli alleati nella destra, che il tempo stringe, Eli Cohen risponde accumulando altre miglia in volo. Ministro degli Esteri da sette mesi, gliene restano cinque se verranno mantenuti i patti dentro al Likud di Benjamin Netanyahu. Che l’ha voluto nel ruolo per racchiudere altri Paesi arabi o musulmani nell’abbraccio degli accordi di Abramo. Dalla Serbia atterra in Italia, la visita a un Paese che Israele considera amico, tra crescita negli scambi commerciali e nelle affinità ideologiche. «E da tutti i nostri amici — commenta Cohen, che vede Antonio Tajani, Matteo Salvini e riporta un ministro degli Esteri israeliano in Vaticano per la prima volta in 12 anni — ci aspettiamo lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme». Per ora ce ne sono quattro, la più importante è quella americana su decisione dell’ex presidente Donald Trump, mentre l’Unione Europea non riconosce la città come la capitale dello Stato ebraico.
Il vostro ministero della Difesa chiede al governo italiano il sequestro dei fondi a un’associazione con sede a Genova perché servirebbero a finanziare Hamas. Ne parlerà con il ministro degli Esteri e il vicepremier?
«L’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese, guidata da Mohammad Hannoun, attivista di Hamas, opera in Italia sotto le spoglie di un’organizzazione umanitaria per mascherare l’appartenenza alla rete di finanziamento del terrorismo. Israele continuerà a lavorare per impedire che questi fondi arrivino nelle mani di Hamas e lo stiamo facendo attraverso azioni sia politiche che di intelligence».
Le proteste contro la «riforma» della giustizia voluta dal suo governo vanno avanti da quasi 30 settimane, gli oppositori la considerano una svolta autoritaria. Il progetto è stato criticato anche dalla Casa Bianca e lei ha strigliato Kamala Harris, la vicepresidente americana.
«Le parole che ho pronunciato fanno parte di un’ampia intervista in cui ho sottolineato l’importanza della riforma per rafforzare la democrazia nel Paese. Le relazioni tra Israele e gli Stati Uniti si fondano su valori condivisi e una visione del mondo simile. Anche tra amici intimi possono sorgere questioni in cui non si è d’accordo».
Il capo della polizia per il distretto di Tel Aviv si è dimesso spiegando di aver subito pressioni da ministri perché usasse la forza — «eccessiva», ha detto — contro i manifestanti.
«Preferisco che le modifiche all’ordinamento giuridico avvengano di comune accordo. Tuttavia, ritengo che questi cambiamenti siano necessari e che debbano essere promossi in ogni caso per preservare la democrazia israeliana».
In una telefonata con Antony Blinken, il segretario di Stato americano ha condannato le violenze perpetrate dai coloni contro villaggi palestinesi e i loro abitanti dopo alcuni attentati in Cisgiordania. Eppure Orit Strock, ministra nella sua stessa coalizione, ha attaccato un ufficiale israeliano per aver definito le devastazioni «terrorismo nazionalista»
«Siamo uno Stato di diritto e io sono assolutamente contrario al fatto che i cittadini si facciano giustizia da soli. Il governo israeliano è composto da più partiti e non sempre siamo d’accordo su tutto».
Lei ha dichiarato che un’intesa per la normalizzazione con l’Arabia Saudita è solo «questione di quando, non se. Per i sauditi l’Iran è il nemico numero 1. Abbiamo gli stessi interessi». Adesso è con quel «nemico numero 1» che i sauditi hanno ristabilito i rapporti. Questo patto allontana il vostro obiettivo diplomatico?
«Gli accordi di Abramo, firmati tre anni fa, hanno determinato una nuova suddivisione della regione tra Paesi moderati, i cui leader cercano stabilità e un futuro migliore per i loro cittadini, e Paesi, soprattutto l’Iran, che promuovono il terrorismo, la violenza e il conflitto. Credo che la realtà del Medio Oriente porterà molte nazioni ad aspirare alla promozione della pace nella regione, compresa l’Arabia Saudita».

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