16 Settembre 2024
ambiente rinnovabili

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Fatih Birol, direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia, al Sole 24 Ore: «Se guardiamo al solare Pechino è ormai di gran lunga il player dominante, l’Europa si focalizzi su altro»

L’energia pulita conquista sempre di più il favore degli investitori, attirando ben due terzi dei 2.800 miliardi di dollari destinati quest’anno al settore a livello mondiale. Nel solare, ormai protagonista assoluto, viene speso addirittura un miliardo al giorno: per la prima volta nella storia più che per sviluppare l’offerta di petrolio. Le stime sono dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), che ora esorta a sfruttare il momento favorevole, evitando però di disperdere le forze in una vana rincorsa della Cina.
«Competere su ogni singola tecnologia non va bene», avverte Fatih Birol, direttore dell’Aie, intervistato dal Sole 24 Ore. E proprio l’energia fotovoltica è uno di quei settori in cui «Pechino è ormai di gran lunga il player dominante. Pensare che l’Europa possa riuscire a sostituirlo o a sottrargli una grande quota di mercato non è la strategia corretta».
Meglio piuttosto da un lato collaborare e dall’altro percorrere strade diverse, che non ci vedano sconfitti in partenza: nel caso della Ue, secondo Birol, «puntare ad esempio sulle tecnologie per l’eolico offshore, sugli elettrolizzatori per produrre idrogeno, sulle pompe di calore».

Scala globale
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del resto bisogna pensare su scala globale. «Quando si guarda alle tecnologie pulite – ricorda Birol – ci sono due aspetti: uno è la diffusione e l’altro lo sviluppo della filiera produttiva, che si tratti di pannelli solari, turbine eoliche, batterie o altro. La diffusione sta aumentando molto in fretta in giro per il mondo, ma in termini di capacità di produzione la Cina ha assunto un enorme ruolo dominante». Impossibile ignorare alla realtà.
Serve quindi «un lavoro a due dimensioni», secondo il direttore dell’Aie: «Da un lato riconoscere come un fatto la posizione dominante di Pechino in alcuni settori e trovare politiche realistiche, che ci permettano di interagire. Al tempo stesso bisognerebbe che ciascuno focalizzasse meglio le strategie, perché molti Paesi oggi stanno cercando in parallelo di sviluppare una propria filiera, con forti politiche di sostegno in Europa, negli Usa, in Giappone e anche in alcuni Paesi emergenti, come l’India e la Cina stessa».

Il risveglio degli investimenti
I risultati raggiunti negli ultimi anni, sia pure tra luci e ombre, sono comunque considerati incoraggianti dall’Aie. La crisi energetica ha risvegliato gli investimenti in tutte le fonti, anche quelle più inquinanti: il carbone registra addirittura un aumento del 10% quest’anno, superiore al +7% dell’Oil&Gas). Lo sviluppo dei fossili tuttavia non è più al centro dell’interesse: a livello globale dovrebbe attirare 950 miliardi di dollari nel 2023 (il 15% in più rispetto al 2021), a fronte dei 1.700 miliardi (+24% in due anni) per fonti e tecnologie “green”, categoria comunque molto ampia, che include anche il nucleare, le auto elettriche e le pompe di calore.
«Solo 5 anni fa il mondo investiva 2 trilioni di dollari in energia, di cui la metà era destinata a fonti fossili», fa notare Birol. «Ora i fossili continuano ad attirare un trilione, ma per ogni dollaro investito nei fossili ci sono 1,7 dollari che invece si indirizzano su energie pulite».
Protagonista è il ”re Sole”, come si diceva, anche se gli investimenti in impianti fotovoltaici sono concentrati per oltre il 90% nelle economie avanzate e in Cina.

Il costo del denaro (e delle materie prime)
La transizione energetica «nei Paesi emergenti purtroppo non procede con lo stesso passo», ammette Birol. E l’aumento dei tassi di interesse rischia di frenarla ulteriormente: «Dove il mercato dei capitali è debole raccogliere finanziamenti diventerà ancora più difficile». La stretta monetaria non dovrebbe invece avere un impatto eccessivo in Europa o negli Usa, grazie anche alle politiche e agli incentivi statali per la decarbonizzazione. «Mi sembra chiaro che gli investitori stanno dirottando denaro sulle energie pulite anche perché fanno buoni affari enon solo per salvare il Pianeta», osserva il direttore dell’Aie.
A destare preoccupazioni ovunque nel mondo è piuttosto il rincaro di materiali e componenti (oggi una turbina eolica costa il 30% in più che nel 2020 e anche i moduli fotovoltaici hanno subito rincari analoghi nel 2022, che solo ora cominciano in parte a rientrare).
Il mercato di Piazza affari ha terminato la seduta in leggero ribasso. L’indice FTSE Mib ha registrato una variazione di -0,44% a 26408.0 punti. L’indice FTSE All Share è in lieve diminuzione del 0,38%…
Un risvolto positivo è che proprio i prezzi elevati hanno stimolato un boom di investimenti anche nel settore minerario, per sviluppare l’offerta di alcuni metalli considerati “critici”, in particolare litio, nickel e rame: c’è stato un balzo del 30% solo nel 2022. Ma dall’esplorazione alla produzione possono trascorrere più di 10 anni e la scarsità di materie prime rischia di essere «un fattore frenante per le tecnologie pulite», osserva il rapporto.

Sul petrolio “delega” al Medio Oriente
Gli investimenti per sviluppare l’offerta di idrocarburi nel frattempo non sono passati di moda: soprattutto nel gas liquefatto c’è stata anzi una forte accelerazione, stimolata dalla crisi energetica e dall’allarme per i tagli alle forniture russe all’Europa. Ma l’industria petrolifera – nonostante i bilanci record del 2022, con profitti per circa 4mila miliardi di dollari su scala globale calcola l’Aie – nel complesso ha cominciato a tirare il freno.
Il cash flow oggi viene destinato soprattutto a pagare dividendi e meno della metà è reinvestito nello sviluppo della produzione (uno scopo per cui tra il 2010 e il 2019 era invece impiegato per tre quarti). Il compito di espandere l’offerta viene peraltro delegato sempre di più ai colossi statali del Medio Oriente, come Saudi Aramco: nel 2023 sono gli unici ad incrementare gli investimenti rispetto al 2023, riportandoli a livelli pre pandemia.

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