È indispensabile una strategia comune nella Ue. E i prossimi giorni dovranno chiarire se il susseguirsi di vertici celi la reale volontà di arrivare a politiche e azioni unitarie
È tempo che l’Europa sia più ambiziosa. Quando lo è stata ha mostrato di essere quello che è: il maggiore e più ricco mercato al mondo; il gruppo di democrazie più solide e lungimiranti nonostante siano lente e riflessive; una potenza persino militare pur non disponendo all’apparenza di un solo soldato. Ebbene è tempo che sia ambiziosa anche sul fronte dell’energia. Cosa che non è. Così come si è visto ieri con il mancato accordo sul tetto al prezzo del gas.
Eppure, si può fare. Purché l’ambizione sia condivisa anche dai leader dei Paesi che la compongono. E che la mettano al servizio dell’Unione. Non è difficile, soprattutto perché siamo stati e siamo capaci di farlo. Ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inaugurato a Bologna il supercomputer Leonardo. È il quarto più veloce al mondo. Il terzo sta in Finlandia. Ed entrambi sono figli e frutto di una iniziativa europea che, contrariamente a quanto si pensa, persino sull’hi-tech, è capace, se c’è la volontà, di incalzare i due giganti Stati Uniti e Cina.
Siamo nel campo di quella Europa che è capace di dotarsi di agenzie funzionali come le definisce l’economista e linceo Alberto Quadrio Curzio. Quell’idea e quella spinta che hanno portato alla nascita della Banca europea degli investimenti, di Airbus, di St Microelectronics e via dicendo. Idee che in questi giorni si stanno concretizzando in una delle attività considerate più strategiche al mondo da qualsiasi nazione: le attività spaziali. E che vedono oggi l’europea Esa al fianco della Nasa nella nuova missione lunare.
Così non sta avvenendo sul fronte dell’energia. Dietro quella parola, «energia», c’è il motore delle economie e delle società, come ci sta mostrando drammaticamente la vicenda ucraina. La guerra nel cuore del Continente ha suonato la sveglia per molti in Europa che pensavano di continuare a spingere un tasto e ad avere magicamente la luce in casa o il propellente per aziende, ospedali e via dicendo.<
La reazione a questa improvvisa consapevolezza è stata però quella di correre ai ripari ognuno pensando ai confini del proprio piccolo Paese. Sì, piccoli, perché di questo si tratta quanto si parla di energia. Quattro giorni fa, la Cina ha siglato un contratto di acquisto di gas liquido con il Qatar che la lega al Paese mediorientale da qui fino al 2053. E lo scorso anno oltre il 60% degli acquisti globali di lungo periodo di Gnl sono stati firmati da Pechino.
Poche cifre che dovrebbero bastare per comprendere la necessità di una strategia comune in Europa. E di averla in fretta. Ma la lezione di ritrovarsi in molti Paesi dell’Unione legati strettamente alle sole forniture russe non è bastata. È oggettivo — e forse comprensibile — che ogni nazione abbia dovuto agire il più rapidamente possibile per ridurre quella dipendenza. E che l’Italia sia stata tra le più rapide.
Ma se l’Europa è stata capace di ridurre quella dipendenza è altrettanto vero che non avrebbe dovuto essere necessaria una guerra per capire i rischi di quel legame. Se ciò è accaduto è stato proprio per la poca lungimiranza a Bruxelles ma anche dei leader nelle varie capitali. Si fa fatica a comprendere che la capacità contrattuale dipende molto dalle dimensioni. Anche e soprattutto in campo energetico.
Il governo italiano lo aveva già sottolineato sollevando il problema più di un anno fa, quando i bombardamenti a Kiev erano considerati fantascienza. Ma si è preferito aspettare e vedere. Stiamo correndo un rischio analogo adesso? Visto che i vertici continuano a succedersi senza che si arrivi ad accordi quadro sostanziosi, la risposta sembra obbligata: «sì». Anche se una speranza che non sia così è da coltivare.
Al vertice dei ministri dell’Energia ieri, quindici Paesi, tra questi l’Italia, la Francia e la Spagna, hanno ieri eccepito sul prezzo proposto di tetto al gas. Respingendo l’ipotesi di arrivare a intese parziali sugli acquisti comuni e le semplificazioni che dovrebbero portare a un utilizzo più rapido e massiccio delle fonti rinnovabili per la produzione di energia.
Fondamentale sarà riuscire a far capire ai cittadini, alle aziende, ai mercati se si tratta dell’ennesimo rinvio, aspettando il prossimo slittamento. O se invece dietro questa non decisione ci sia maggiore sostanza. Qualcosa deve esserci se nelle settimane scorse, più che negli ultimi giorni, i prezzi del gas sono scesi prefigurando una Europa che si muoveva di comune accordo.<
I prossimi giorni e mesi (non anni) dovranno chiarire se questo susseguirsi di vertici celi quindi la reale volontà di arrivare a politiche e azioni unitarie in campo energetico. Se, cioè, mettere in un’unica intesa la piattaforma di acquisti comuni, il passaggio semplificato alle rinnovabili e i criteri per un tetto al gas, prefiguri una sorta di prossima agenzia funzionale per l’energia. O se sia solo un modo per far restare l’Europa il solito taxi da usare a proprio piacimento, secondo la metafora usata per i partiti politici da un signore che è stato capace di cambiare l’approccio al mondo dell’energia a livello globale. Ma che per questo probabilmente ha perso la vita: Enrico Mattei.