Il presidente turco attacca l’Occidente e lo Stato ebraico sacrificando gli interessi della Turchia. Il tentativo è di proporsi come mediatore. La telefonata tattica al Papa
«I Paesi occidentali forniscono armi a Israele senza condizioni, invece di rivolgere appelli alla calma e ignorando la violazione del diritto internazionale, perché il sangue versato è sangue dei musulmani»..
Non si placa l’ira del presidente turco Recep Tayyip Erdogan contro Israele e quei Paesi che appoggiano la sua reazione armata all’eccidio del 7 ottobre compiuto da Hamas. Dopo aver cercato un difficile equilibrismo per 19 giorni da un lato sostenendo la causa palestinese, dall’altro cercando di non alienarsi Israele, mercoledì il leader turco ha spiazzato gli alleati della Nato definendo i terroristi islamici «un gruppo di liberazione». E ieri ha rincarato la dose attaccando anche la Commissione europea: «Quanti bambini dovranno morire prima che arrivi il momento del cessate il fuoco? Coloro che esprimono giudizi sui diritti umani e sulle libertà ignorano da tempo il diritto alla vita del popolo oppresso di Gaza».
È una chiara inversione di rotta rispetto alla tela diplomatica intessuta in questi anni che aveva portato, nel 2022, alla visita in Turchia del presidente israeliano Isaac Herzog e alla stretta di mano con il premier dello Stato ebraico Benjamin Netanyahu all’assemblea generale delle Nazioni Unite, lo scorso settembre. Una relazione, quella con Israele, legata anche al contrasto di un nemico, comune, l’Iran, sostenitore dell’Armenia contro l’Azerbaigian, ma anche alla necessità di essere parte della geopolitica energetica nel Mediterraneo orientale, a cominciare dal progetto di gasdotto EastMed. Tutto questo è saltato ora. Mercoledì la Borsa turca aveva già perso il 5%,proprio in un momento in cui il ministro delle Finanze Mehmet Simsek cerca disperatamente di attrarre gli investitori stranieri e la banca centrale turca aumenta, per il quarto mese consecutivo, il suo tasso di interesse di riferimento di 500 punti base portandolo al 35%.
Qual è, allora, la strategia di Erdogan? Di sicuro è quella di riuscire a porsi al centro di una possibile trattativa diplomatica tra israeliani e palestinesi, proprio come è successo a proposito del conflitto in Ucraina. Ieri, infatti, il leader turco ha parlato al telefono con papa Francesco incassando l’auspicio della Santa Sede per «la soluzione dei due Stati e di uno statuto speciale per la città di Gerusalemme».
Il problema è che le invettive del Sultano hanno riportato le relazioni con Israele al 2009 quando al Forum di Davos l’allora primo ministro turco interruppe il discorso del suo omologo israeliano Shimon Peres dicendo: «Lei sa benissimo come uccidere, so come voi ammazzate i bambini sulla spiaggia». Da lì si arrivo all‘incidente della Mavi Marmara, nel 2010, presa d’assalto dalle forze speciali israeliane, mentre cercava di forzare il blocco di Gaza. E nel 2018 l’ormai presidente rincarava la dose: «Israele è lo Stato più sionista, fascista e razzista del mondo, lo spirito di Hitler alberga in alcuni suoi leader».
Sicuramente la mossa del presidente è dovuta anche al malumore che covava in patria per il suo silenzio. «Un tempo conoscevo un leader — aveva detto qualche giorno fa il suo ex ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu ora a capo del partito del Futuro —, oggi il mio cuore non può accettare che quello stesso leader non abbia gridato “Oh Israele”». Da più di 10 anni i capi di Hamas fanno la spola fra Istanbul e Doha, la capitale del Qatar che ospita il quartier generale dell’organizzazione. A unire Turchia, Qatar e Hamas è l’idea di «islam politico», secondo i dettami della Fratellanza musulmana. In questo modo, però, Erdogan sacrifica gli interessi strategici della Turchia alla sua fede.
È di ieri l’annuncio dell’invio di un’altra flottiglia di aiuti a Gaza e l’intenzione di coordinare una risposta all’operazione militare israeliana con l’Iran, proprio mentre molti governi occidentali si interrogano sulla portata del coinvolgimento di Teheran negli attacchi del 7 ottobre.