23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Paolo Fallani

Dal 1923 è definita così, ma Berlinguer la modificò in Esame di Stato, anche se per tutti resta la maturità, come se dopo ci fosse la decadenza. Ma Pasolini diceva che…


Si è guadagnato questo nome da quasi un secolo, visto che di «esame di maturità» si parla dalla riforma Gentile del 1923. La stessa che avrebbe introdotto questa prova per permettere a chi la superava di iscriversi all’Università. Una definizione condivisa con decine di altri Paesi europei e non, occidentali e orientali, continentali e balcanici, uniti nel grande sospiro liberatorio di aver trovato un nome convincente ad un appuntamento per un’età dichiaratamente senza convinzioni.

Maturi o passati?
Le caratteristiche comuni sono molte: vi si arriva quando l’adolescenza ha ormai scatenato il panico nei protagonisti e nei loro familiari, quando si hanno alle spalle 12 o 13 anni di studio, quando quella rivoluzione ormonale cominciata ormai da tempo assume i connotati della «tempesta perfetta». Apparentemente risolta per i più fortunati, perennemente in subbuglio per tutti gli altri. Ecco, è in questo preciso momento che l’istituzione scolastica si incarica di stabilire se siamo «maturi». Che già nel nome offre un chiaro sospetto: quello di definirci al massimo delle nostre possibilità di evoluzione, giunti a compimento, subito prima dell’inevitabile degrado verso la decadenza. Elemento che introduce nuove e preoccupanti suggestioni. Se la «maturità» è lo snodo che segna il passaggio alla vita adulta, tra la giovinezza e la vecchiaia con il «completo sviluppo dell’organismo», superarla significa oltrepassare il valico e cominciare una discesa inesorabile.

L’esame di Stato
Pier Paolo Pasolini sintetizza con estrema chiarezza ne «Le belle bandiere»: «I ragazzi e i giovani sono in generale degli esseri adorabili, pieni di quella sostanza vergine dell’uomo che è la speranza, la buona volontà: mentre gli adulti sono in generale degli imbecilli, resi vili e ipocriti (alienati) dalle istituzioni sociali, in cui crescendo, sono venuti a poco a poco incastrandosi». Con un sillogismo un po’ forzato quindi si può riassumere che la maturità rappresenta un passaggio decisivo verso l’imbecillità. In base forse anche a questa provocazione, o al solo sospetto, settantaquattro anni dopo la riforma Gentile, nel 1997 il ministro Luigi Berlinguer decide che una svolta è matura e cambia nome alla verifica finale del ciclo superiore: non più maturità ma «esame di Stato».

Il momento indimenticabile
Anzi per essere precisi «esame di Stato conclusivo del corso di studio di istruzione secondaria superiore». Ma una definizione così ampollosa poteva uccidere il semplice e vincente accostamento tra lo sviluppo dei nostri ragazzi e quello delle mele renette? Ovviamente no. Così una schiera di adulti creativi si è incaricata di difendere quel momento indimenticabile con canzoni orecchiabili e film straordinariamente adatti a chi quell’esame ormai mitologico poteva solo rimpiangerlo. Eccoli qua, con risate studiate per nascondere l’imbarazzo della commozione, schiere di «Notte prima degli esami», serie di «Immaturi», lampi tra «Ecce Bombo» e «Ovosodo», inevitabili «Ultimi della classe» e preoccupatissimi «Che ne sarà di noi».

La platea dei maturati
D’altronde è bene uscire da ogni equivoco: non c’è alcuna produzione artistica o letteraria rivolta a chi sta per sostenere questo esame. Un po’ perché i ragazzi hanno altro da fare, tipo ripassare come forsennati per paura che l’angoscia limiti il poco che pensano di sapere. Molto perché la platea dei maturati è molto più vasta, nostalgica e disponibile rispetto a quella piccola e nevrotica dei maturandi. Anche questo articolo è interamente destinato a lettori adulti. Chi l’ha scritto ha perso da anni la limpidezza delle speranze e si trova comodamente sistemato tra gli imbecilli.

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