Fonte: Corriere della Sera
di Lucrezia Reichlin
Più mercato e visione comune. Il futuro è possibile
Dopo l’analisi delle scorse due puntate valutiamo oggi le proposte di riforma in campo. Partiamo dal punto di vista tedesco. La Germania vuole più rigore nelle regole e più mercato. Uno Stato che arrivi all’insolvenza, secondo la Germania, deve poter ristrutturare il suo debito.
Per questo, l’Unione Monetaria deve dotarsi di indicazioni chiare sulle condizioni in cui questo avvenga e di strumenti di monitoraggio appropriati. La logica di questa posizione è chiara. Come sostenuto nell’articolo di ieri, la possibilità di ristrutturare (e quindi penalizzare i creditori) è condizione necessaria per rendere credibile il principio del «no bail-out» (nessuno Stato dell’Unione può salvarne un altro). La possibilità che un Paese vada in default e ristrutturi il suo debito costituisce un incentivo potente alla disciplina di bilancio poiché il rischio si riflette sui tassi di interesse sul debito e quindi sulle condizioni di rifinanziamento degli Stati.
Una volta accettato questo principio, diventa chiaro che i titoli di Stato dei diversi Paesi della Unione hanno diversa rischiosità. Quindi, sostiene la Germania, è sbagliato considerarli tutti a rischio zero ai fini dei requisiti del capitale regolatorio nei bilanci delle banche, come lo sono oggi.
In caso il Paese sia solvibile, ma abbia bisogno di liquidità temporanea, scatta invece l’intervento del Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm) che la eroga a condizione che si mettano in atto politiche di rigore di bilancio che eliminino la fonte del rischio.
La Germania, infine, non accetta di introdurre alcun sistema di condivisione del rischio, come per esempio l’Assicurazione europea dei depositi, senza che si agisca prima per eliminare le differenze di rischio tra Stati e banche dell’Unione.
Veniamo ora al punto di vista francese. Quest’ultimo è da sempre diverso sia per ragioni culturali che per interesse economico.
I francesi insistono su una maggiore flessibilità nell’applicazione delle regole quando un’economia è sotto stress. Regole sì quindi, ma anche discrezionalità per evitare pro-ciclicità delle politiche di bilancio. Inoltre la Francia ha più simpatia per strumenti anche fiscali per la condivisione del rischio. Ha parlato di un fondo di stabilizzazione europeo alimentato da risorse fiscali comuni e, in alcune istanze, di euro-bonds. Si è pronunciata spesso a favore dell’irrobustimento della capacità finanziaria dell’Esm affinché esso diventi veicolo potente di erogazione di liquidità agli Stati ma anche direttamente alle banche in crisi. In genere la Francia tende ad accentuare il rischio di crisi di liquidità del presente sistema mentre la Germania ne sottolinea il pericolo di azzardo morale, ossia l’effetto disincentivante alla disciplina che deriva dalla prospettiva di un intervento pubblico.
Le due posizioni sono molto diverse e ambedue presentano dei limiti. La prima, perché incentivi di mercato, in assenza di strumenti per la condivisione del rischio, creerebbero volatilità e molto probabilmente un’implosione della moneta unica. La seconda, perché richiede la messa in comune di risorse dei contribuenti che non sono né realistiche né legittime in assenza di istituzioni politiche federali che accompagnino il processo decisionale.
Una soluzione di compromesso è quindi difficile, ma necessaria. Un tavolo franco-tedesco e un impegno dichiarato a trovarla c’è, ma finora non ha partorito nessuna proposta concreta se non l’espressione di un generico parere favorevole a un bilancio dell’Unione Europea, a un ministro delle Finanze comune e alla creazione di un Fondo Monetario Europeo.
Sembrano passi molto ambiziosi, ma la mancanza di dettagli desta il sospetto che si tratti di una dichiarazione di intenti per dimostrare una volontà di cooperazione la quale però deve ancora trovare le sue gambe.
La posta in gioco qui è la dimensione del bilancio comune. Non è realistico pensare che la Ue possa imporre una tassa europea tale da alimentare un fondo sufficientemente grande da agire ai fini della stabilizzazione ciclica. Non lo è perché, per chiedere ai cittadini di contribuire, bisognerebbe dargli l’opportunità di partecipare al processo decisionale, ma gli strumenti democratici rimangono oggi fondamentalmente nazionali. Con ogni probabilità, quindi, il fondo europeo, con pochi mezzi a disposizione, sarebbe piuttosto uno strumento finanziariamente limitato per progetti ad hoc soggetti a condizionalità sulle politiche di riforma. Costituirebbe quindi un ennesimo strumento intrusivo nelle politiche nazionali che avrebbe scarsa legittimità. Stesse considerazioni valgono per la proposta del presidente della Commissione europea Juncker che anch’essa sostiene la causa della triplice: bilancio comune, comune ministro delle Finanze e fondo monetario europeo.
Ma di cosa abbiamo veramente bisogno? Un nuovo compromesso franco-tedesco deve garantire stabilità, evitare episodi di pro-ciclicità della politica economica e riequilibrare le responsabilità per evitare di chiedere troppo alla Banca Centrale Europea con relativo pericolo di forzare il suo mandato.
Il compromesso che auspico può essere riassunto così: più mercato, come vogliono i tedeschi, in cambio di un framework macroeconomico meno intrusivo e della introduzione di strumenti che aiutino a condividere il rischio in caso di crisi senza che questo implichi trasferimenti permanenti da un Paese all’altro.
Più mercato significa innanzitutto accettare il principio della ristrutturazione del debito. Quest’ultima — tanto temuta dall’Italia — aiuterebbe in realtà a risolvere la tensione tra i Paesi dell’euro che hanno bisogno del consolidamento e/o di riforme, ma non vogliono essere obbligati a seguire politiche imposte dall’esterno e i Paesi creditori che temono che se non si seguono strettamente le regole, i prestiti dell’Europa possano indurre all’azzardo morale. Rafforzando la disciplina di mercato la procedura di ristrutturazione richiederebbe meno disciplina di Bruxelles. E se la disciplina di mercato fallisse, la risoluzione della crisi richiederebbe meno austerità (i creditori privati pagano in quel caso). Ne consegue che questa via è più equa per la popolazione e rafforza il consenso alle riforme necessarie.
Più mercato significa anche accettare il principio che non tutti i titoli di Stato sono egualmente rischiosi, ma questo potrebbe essere accompagnato da un incentivo regolatorio affinché le banche diversifichino dal punto di vista geografico i titoli detenuti in bilancio. Ci sono varie proposte tecniche in discussione che vanno in questa direzione.
Un sistema di questo tipo, però, deve essere accompagnato da ulteriori strumenti che, durante le crisi, permettano di preservare l’integrazione finanziaria e quindi facilitino la diversificazione del rischio. Ciò implica rafforzare la capacità di erogazione di liquidità per banche e Stati da parte dell’Esm, magari permettendogli di rifinanziarsi presso la Bce, introdurre la assicurazione comune per i depositi bancari, rinforzare il fondo di ricapitalizzazione delle banche e costruire un mercato unico dei capitali. Tutte queste misure romperebbero la correlazione tra rischio bancario e rischio sovrano, una delle cause fondamentali del crunch del credito sperimentato nel Sud d’Europa negli anni della crisi e terrebbero a bada le crisi speculative contro il debito senza dover fare esclusivamente conto sulla Bce come garante unico dell’integrità dell’Unione.
Queste misure non hanno l’appeal di altre che parlano più direttamente alla gente come la proposta di un’assicurazione europea alla disoccupazione, politiche per il sostegno alla povertà e investimenti, ma sono la condizione necessaria non solo per rendere l’euro robusto, ma anche per permettere politiche di stimolo anti-ciclico. in caso di stress. Molto altro è necessario per sostenere la crescita e garantire più giustizia sociale, ma non tutto si deve fare con l’Europa. Soprattutto non prima di dotarsi delle istituzioni democratiche comuni che lo rendano legittimo.
Veniamo ora all’Italia. Chiedere più flessibilità delle regole senza accettare il principio dell’incentivo del mercato per stabilizzare bilanci di banche e Stati è velleitario. Il continuo negoziato con Bruxelles finisce per erodere la fiducia e far saltare il banco. Ragioniamo invece sul compromesso indicato sopra e cosa implichi per noi. Rischi certamente ce ne sono. Ogni sistema basato su incentivi di mercato significa pressione sui tassi per Paesi indebitati e pressione per quelle banche che, come le nostre, sono imbottite di buoni del tesoro nazionali. Ma nel compromesso più mercato e meno regole ci sono anche i vantaggi di riconquistare la sovranità sulle scelte di politica economica. Ma se volessimo seguire questa strada, dovremmo giocare di anticipo e contrattare una fase di transizione che ci consenta di pulire e consolidare i nostri bilanci. Per farlo, dobbiamo analizzare i problemi nel loro insieme, invece che andare a contrattare su ognuno singolarmente. Ma per questo ci vuole la forza di una visione condivisa per un progetto per l’Italia, in un percorso europeo sapendo che l’Europa ha per noi una importanza strategica assoluta.