ESTERI/EUROPA
Fonte: La StampaIl più debole dei 28, piegato dall’austerity, assume la presidenza semestrale. Samaras: siamo fuori dal tunnel. Ma è allarme per il vertice dell’8 gennaio
Nell’aprile 2012 l’agenzia di rating Standard & Poor’s annunciò di ritenere probabile al 33% la resa della Grecia, il suo tracollo economico e l’uscita dall’Eurozona. Così facendo, alimentò la speculazione contro l’euro e le speranze della folta pattuglia di economisti che da anni è impegnata a vaticinare la fine di Eurolandia. Tutto per niente, non è andata così. A costo di immensi sacrifici non certo conclusi, Atene s’è rimessa in carreggiata. Tanto che il premier Samaras, nel prendere le redini semestrali Ue, ora giura di vedere «la luce in fondo al tunnel» e promettere che a fine anno il paese potrà tornare sul mercato da solo per finanziare il suo immenso debito.
La presidenza dell’Ue è un rito carico di simbolismi. Sino a martedì guidava la Lituania, giovane repubblica che ancora quindici anni fa era sotto il giogo sovietico. Hanno fatto un buon lavoro, i ministri di Vilnius, segno che la democrazia sa pagare in fretta il suo dividendo. Ora tocca ai greci, grandi malati dell’economia continentale. Nel 2010 sono stati salvati per un pelo dallo tsunami finanziario provocato dalle truffe contabili del governo popolare di Kostas Karamanlis. Aveva truccato il bilancio d’un paese privo di una vera agenzia delle entrate. Nel mezzo della crisi, l’effetto è stato devastante.
Europa e Fondo monetario hanno salvato la Grecia, non al meglio e nei tempi ideali, lanciando un piano di salvataggio arrivato a 240 miliardi. I fondi sono stati condizionati a uno stringente percorso di risanamento, doloroso, con tagli occupazionali, servizi e previdenza ridimensionati, nuove tasse. Dal 2007, il pil è sceso di 25 punti. La reazione della gente s’è cibata della disperazione, è stata anche violenta. Si è votato due volte. Fra gli estremismi crescenti, hanno ripreso il potere i centristi di Nuova Democrazia. Invece di rischiare un salto nel buio, la maggioranza ha scelto di stringere i denti e sperare.
A fatica, e non senza bizantinismi, Antonis Samaras sta seguendo il percorso di rilancio negoziato con la litigiosa troika di controllori formata da Ue, Fmi e Bce. «Il 2013 è stato l’anno zero, il 2014 sarà quello della ripresa», ha detto nel suo messaggio di fine anno, durante il quale ha sottolineato l’importanza del ritrovato avanzo primario. L’aggiustamento di bilancio è stato del 35% del pil in 42 mesi. «Grecia è riuscita a coprire per la prima volta le sue necessità conquistando l’autosufficienza – ha spiegato Samaras -. Non siamo costretti ai prestiti per resistere: l’inversione di tendenza è cominciata».
Dice il ministro degli Esteri Evangelos Venizelos che il semestre europeo che arriva ad Atene servirà per dimostrare «che un paese legato a un programma di salvataggio è comunque un paese normale». In realtà c’è chi teme una leadership indebolita dal forte sentimento euroscettico che agita il Paese. Il colpi di Kalashnikov sparati lunedì contro la residenza dell’ambasciatore tedesco nella capitale segnalano tensioni non latenti. L’8 gennaio sbarca in città la Commissione Ue: l’allerta è ai massimi.
Samaras ha deciso di spendere poco. Niente piani faraonici, solo una mano di fresco alla Syntagma, la piazza del Parlamento a lungo segnata da scontri anche violenti fra polizia e cittadini infuriati per il rigore senza precedenti. La stabilità che la Grecia riuscirà a dare all’Ue di qui alle euroelezioni del 22-25 maggio è cruciale. È un anno di fine legislatura, bisogna chiudere numerosi cantieri senza toccare i tanti nervi scoperti. La Storia insegna che i piccoli stati possono essere grandi presidenti, che il risultato dipende dalla capacità negoziale dei ministri nei singoli consigli. Il successo dipende di Atene dipende dalla credibilità che saprà conquistarsi in una partita che, per una volta, è più difficile in casa che in trasferta.