24 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Danilo Taino

Il pericolo è quello del sollievo: il mancato sfondamento dei partiti anti-élite non indica che il sistema che ha retto per 60 anni sia saldo. Anzi: è stato scosso in maniera seria, e ora dovrà cambiare


L’Europa è frammentata: il sistema politico che ha dettato le regole per gli scorsi sei-sette decenni è stato scosso in misura seria dalle elezioni per il Parlamento europeo che si sono concluse domenica. Le forze anti-élite non hanno sfondato: hanno guadagnato posizioni, d’ora in poi faranno sentire la loro voce nelle scelte della Ue e in alcuni momenti potranno essere in grado di frenare o bloccare decisioni importanti.
Un esito rilevante, però, è la crisi delle due grandi famiglie politiche, i Popolari e i Socialdemocratici, che hanno dominato il panorama negli scorsi decenni: non sono solo la perdita di consensi della Cdu-Csu e della Spd in Germania e le difficoltà di Forza Italia e del Pd nella Penisola a segnare questo vacillare ma soprattutto la frantumazione dei risultati a livello continentale, dove, a differenza del passato quando avanzavano o il centrodestra o il centrosinistra in modo abbastanza omogeneo, ogni Paese mette in scena tendenze tutte sue. Non c’è un trend europeo, ci sono evoluzioni o rivoluzioni nazionali.
C’è poi la Francia, il Paese nel quale il risultato elettorale è forse il più rilevante, politicamente, dell’intera consultazione. Il sorpasso del movimento di Marine Le Pen su quello di Emmanuel Macron, se confermato dai risultati definitivi, ha la potenzialità di cambiare la conversazione politica in tutta Europa. Il presidente francese si è presentato sul palcoscenico come un deciso riformatore non solo a livello nazionale ma anche a livello europeo. Essere stato superato, in elezioni per il parlamento della Ue, dalla forza di destra, dopo avere fatto alcune marce indietro significative a livello nazionale, ne frena anche lo slancio verso il cambiamento in Europa del quale era paladino. La sua spinta propulsiva, se tale era, ha ora sabbia nel motore.
La Cdu-Csu di Angela Merkel ha perso parecchi punti percentuali rispetto a cinque anni fa. E ancora di più ne ha lasciati sul terreno la Spd, a vantaggio dei Verdi. Se quelle di ieri fossero state elezioni nazionali, i due grandi partiti popolari tedeschi oggi non avrebbero i numeri per governare nella Grande Coalizione ora al potere e che ha dominato a Berlino per nove degli scorsi 13 anni. Tutto sommato, però, la Germania si conferma Paese ad alta stabilità democratica, con un risultato mediocre dell’estrema destra della Afd e soprattutto grazie al boom dei Verdi, vera novità nella sinistra e nel quadro politico berlinese.
Se si considerano i risultati in Italia e nel Regno Unito, anch’essi terremoti più o meno grandi, si evince che queste elezioni sono state di cambiamento soprattutto nei Paesi più grandi della Ue. E questo è un dato che influirà notevolmente sulla Bruxelles dei prossimi anni. Altrettanto importante sarà, a questo punto, il rapporto tra Parigi e Berlino, asse storico a cuore dell’Europa: possono due debolezze guidare la Ue in anni in cui le sfide geopolitiche portate da Cina, Russia e in parte dagli Stati Uniti saranno sempre più potenti?
Per quel che riguarda i cosiddetti populisti, sono andati decisamente meno bene delle loro speranze e dei timori dei loro avversari. Qui, però, si nasconde un grande rischio: che i poteri tradizionali vedano nella mancata ondata trionfale dei movimenti anti-élite una ragione per tranquillizzarsi e non cambiare politiche. Lo scampato pericolo non può essere ragione per sottovalutare quelli che un po’ in tutta Europa sono più di malumori popolari, sono reali insoddisfazioni e difficoltà. Qui si apre la grande questione dei prossimi anni: un’Europa così frammentata, tra Paesi e tra famiglie politiche, riuscirà a rispondere alle domande dei cittadini e alle sfide del mondo? Per di più con leader azzoppati?

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