Fonte: La Stampa
di Fabio Poletti
In manette quattro kosovari, c’è anche un minorenne. Attivissimi su Internet, progettavano attentati in Italia
L’attentato a Westminster nel cuore di Londra era stato lo stimolo a fare meglio: «Dobbiamo fare qualcosa di simile anche a Venezia». Al telefonino non si trattenevano nemmeno più: «A Venezia guadagni subito il paradiso per quanti miscredenti ci sono qua. Metti una bomba a Rialto». Si era radicata ed era cresciuta nel cuore della città, attorno a San Marco dove i suoi uomini lavoravano e vivevano, la cellula di jihadisti di origine kosovara colpita ieri mattina con un blitz dei reparti speciali di polizia e carabinieri. Quattro le persone arrestate, uno è un minorenne di 17 anni, M.A., tutte sono di origine kosovara. Bekaj Fisnik, 25 anni, rientrato nel 2016 dalla Siria dove aveva combattuto nelle file del Califfato si era ritagliato il ruolo di guida politica. Babaj Arjan, 28 anni, era l’ideologo e guida religiosa. Hazjrai Dake di 26 anni era l’altro pilastro della cellula ramificata a anche a Mestre e Treviso dove sono state compiute una dozzina di perquisizioni.
Il procuratore capo reggente di Venezia Adelchi d’Ippolito è convinto di aver smantellato una cellula pronta a essere operativa entro poche settimane, al massimo qualche mese: «Abbiamo colpito gente davvero pericolosa, che stava progettando una serie di attentati in Italia e all’estero». L’attività di intelligence per capire la portata della cellula andava avanti da settembre 2015, quando Bekaj Fisnik, cameriere in uno dei lussuosi bar che si affacciano su piazza San Marco, aveva minacciato il suo datore di lavoro con cui aveva avuto un diverbio. Dalle parole pesanti con cui aveva condito la minaccia, gli investigatori si sono convinti che l’uomo potesse detenere delle armi.
Armi nel blitz non ne sono state trovate. Solo alcune pistole giocattolo che ora verranno esaminate per vedere se potevano essere modificate. Di esplosivi invece ce n’è presenza solo a livello virtuale. Nel corso di alcune intercettazioni ambientali si vede il gruppetto di kosovari che davanti a un tutorial video prodotto nel Califfato simula la costruzione di ordigni. Un ordigno che uno di loro avrebbe dovuto infilare in uno zaino prima di farsi esplodere sul ponte di Rialto affollato di turisti. L’obiettivo era quello di fare decine di morti. Il metodo dello zaino per nascondere l’ordigno, facilmente occultabile in una città sempre piena di turisti, lo avevano trovato in rete in uno dei tanti video con le immagini di uomini bomba. Babaj Arjan ne era addirittura entusiasta: «È un grande, aveva messo la bomba dentro lo zaino».
Sequestrati anche computer, smartphone e telefonini. Le vere armi delle cellule jihadiste ai tempi del Califfato. Il gruppo aveva una rete che via WhatsApp, Telegram e Instagram postava messaggi agli affiliati per rinsaldare le convinzioni sulla necessità di fare la Guerra Santa. Le parole su quelle che erano le loro reali intenzioni non lasciano dubbi. «Se domani faccio il giuramento… Se domani faccio il giuramento e mi danno l’ordine, sono obbligato a ucciderli tutti. Allah ha detto “nello stesso modo”». «Dobbiamo morire. Perché non possiamo prendere questa terra, se domani abbiamo questa possibilità perché non sfruttarla!». «Sì noi comunque dobbiamo morire!».
Nell’ordinanza firmata dal giudice Alberto Scaramuzza che ha contestato l’associazione a delinquere con finalità di terrorismo anche internazionale ci sono le prove della loro intensa attività sul web. A fine estate 2016 il profilo Instagram di Haziraj Dake, aperto con altri nickname come gurhaba92 o abdu rahman, ha 18 mila follower. Alcuni link riportano direttamente a siti del Califfato dove gli jihadisti si alimentavano ideologicamente, religiosamente ma pure nel porre le basi tecnico operative degli attentati. Bekaj Fisnik posta messaggi per assicurare che la guerra all’Occidente passa anche per la Rete: «Io consiglio di lavorare continuamente in Internet perché anche questa è jihad e non è niente di meno di quello che fanno altri (credenti) nei campi di battaglia (faccia a faccia) con il permesso di Allah».
Ma le parole da sole non bastano. A volte usa un’inedita ironia: «Lo Stato islamico si fa con gli uomini non con i cetrioli». Altre rivela qual è il suo vero obiettivo: «Chi combatte sulla strada di Allah e viene ucciso è martire e trionfa».