19 Settembre 2024

Il commissario per la Giustizia Reynders: «Dovere in linea con le sentenze della Corte e la strategia per l’uguaglianza»

Coppie gay, la Commissione europea censura l’Italia. Per tutti, nel territorio dell’Ue, è previsto «l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere la filiazione di un minore con genitori dello stesso sesso ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti dall’Ue». Ogni azione contraria a questo principio e dovere è dunque motivo di illecito, ricorda Didier Reynders, commissario per la Giustizia e che a nome dell’intero collegio risponde ad un’interrogazione in materia. Parole che arrivano in un momento in cui il dibattito nazionale sulla comunità Lgbti e loro diritti conosce un nuovo capitolo di tensioni tra maggioranza e opposizione. Il Senato ha recentemente votato contro l’armonizzazione delle norme sul riconoscimento trasfrontaliero dei figli, anche di coppie omosessuali o nati grazie alla maternità surrogata, e dei loro diritti in tutta l’Ue.
In particolare Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia non riconoscono ai figli di coppie dello stesso sesso gli stessi diritti degli altri minori. Scelte politiche, culturali, e anche ideologiche, che però stridono con l’impianto giuridico europeo. Che è fatto anche di sentenze, come quella prodotta dalla Corte di giustizia europea a dicembre 2021. In quell’occasione è stato stabilito che non si possono operare restrizioni né discriminazioni di alcun tipo ai figli di coppie gay. Pronunciamento che l’Italia non starebbe rispettando, per questo motivo, continua il commissario Reynders, la Commissione «è in continuo dialogo con gli Stati membri riguardo all’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea». Questo perché la Commissione è guardiana dei Trattati. Al potere di iniziativa legislativa si affianca quello di far rispettare le leggi approvate, e loro interpretazione giurisprudenziale.
Anche qui Breton si esprime in modo molto chiaro. «Gli Stati membri devono rispettare i diritti fondamentali sanciti dalla Carta, compreso il diritto alla non discriminazione, esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Ue». L’Italia in sostanza può incorrere in procedure d’infrazione e pagamento di multe in caso di condanna.
Non c’è solo lo scontro tra Roma e Bruxelles. Nel dibattito sulle politiche per la comunità arcobaleno si respira anche aria da resa dei conti interna al Movimento 5 Stelle. Breton risponde ad un’interrogazione depositata il 7 dicembre scorso a firma, tra i vari, Tiziana Beghin, Maria Angela Danzì, Laura Ferrara, Mario Furore, Sabrina Pignedoli, tutti europarlamentari pentastellati che criticano l’operato del primo governo Giuseppe Conte, di cui il Movimento era parte.
Si chiede conto del decreto legge italiano 53 del 14 giugno 2019, che stabilisce norme precise sui termini da utilizzare nei documenti ufficiali e nei moduli di richiesta. Se applicato ai minori, si legge nel testo dell’interrogazione, l’uso obbligatorio delle formule «padre» e «madre» nei campi riservati ai genitori anziché opzioni più neutre come «genitore». In questo, la denuncia, «costringe i genitori dello stesso sesso che richiedono un documento ufficiale per un figlio a subire umiliazioni nel migliore dei casi o, nel peggiore, un rifiuto della richiesta».
Adesso la capodelegazione 5 Stelle in Parlamento europeo esulta. Quelle di Reynders, sostiene Tiziana Beghin, sono «parole chiare, inequivocabili, che non possono che andare nella direzione indicata dal Movimento 5 Stelle, nel rispetto dei diritti civili e del riconoscimento dei diritti dei figli delle coppie omogenitoriali». Che però, quando si trovava al governo con la Lega, aveva promosso tutt’altra politica.
Reynders invece conferma che la linea Ue non è cambiata. I regolamenti comunitari in materia di diritto di famiglia con implicazioni transnazionali «sono neutri» sotto il profilo del genere e i moduli standard prodotti per essere mostrati alle autorità degli altri Paesi utilizzano termini come «persona» o «parte», e inoltre la proposta della Commissione sul riconoscimento della filiazione tra Stati membri utilizza il termine «genitore». Qualcosa su cui l’attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva espresso aspre critiche. Il dibattito dunque è ancora tutto aperto e si infiamma ulteriormente.

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