Il sottosegretario a Palazzo Chigi e mente del programma di Meloni: «Non si vede la necessità di una commissione bicamerale sulle riforme»
«Questi continui attacchi non denotano un buono stato di salute del governo di una grande nazione — risponde il sottosegretario all’Attuazione del programma —. Prima dicevano che dovevamo accogliere tutti i migranti, ora ci chiedono di contrastare l’immigrazione illegale di massa. Per noi è un enorme successo aver fatto cambiare linea al governo francese. Ora ci aspettiamo che la Francia sia coerente e sostenga in Europa le proposte italiane per contrastare l’immigrazione illegale».
Sul lavoro volete tornare ai contratti spazzatura, come accusa la vicepremier socialista spagnola Dìaz?
«Con il governo Meloni abbiamo raggiunto il record storico di contratti stabili a tempo indeterminato. Questi sono i dati, il resto è propaganda».
Per Elly Schlein la priorità è il lavoro, non le riforme.
«Una riforma che dà stabilità al governo è la principale misura economica che si possa dare all’Italia, che negli ultimi vent’anni è cresciuta nel complesso del 4%, mentre Francia e Germania crescevano del 20%. Un divario figlio anche della fragilità e instabilità dei governi, per questo la riforma è fondamentale per il bene della nazione».
Meloni punta ai pieni poteri? O, per dirla con la battuta di Schlein, a una monarchia illuminata?
«Questa riforma non può entrare in vigore prima della fine della legislatura. Non siamo così ingenui da immaginare di fare a nostro vantaggio qualcosa che accadrà nel 2027. E non possiamo prevedere chi sarà fra 4 anni il soggetto politicamente più forte».
Eppure per Meloni è «la madre di tutte le riforme»…
«Il presidente Meloni ha rilevato due grandi criticità. La prima è la totale instabilità dei nostri governi, che cambiano in media ogni due anni. E questo, per un Paese grande e potente, comporta difficoltà a stare ai tavoli internazionali. Sorprende che l’allarme abbiamo dovuto lanciarlo noi».
Le sembra che le opposizioni lo abbiano recepito?
«Tutte le forze condividono l’idea che l’attuale sistema istituzionale italiano non funziona, è già un enorme punto di partenza. Il secondo grande problema è che governi sempre più scollegati dall’esito del voto popolare comportano una totale disaffezione dell’elettorato e quindi una delegittimazione delle istituzioni. Sul come affrontare questi problemi ci sono grandi distanze, ma tutti concordano sul fatto che il nostro sistema istituzionale sia un elemento di fragilità per il Paese».
Nella bozza ci sarà l’elezione diretta del premier che piace ai centristi e disturba parecchio la Lega?
«Ci lavoreremo con il ministro Elisabetta Casellati, che sta facendo un ottimo lavoro. Una bozza ancora non c’è. Sottoporremo al Parlamento la proposta che può avere la maggior condivisione, anche fuori dalla maggioranza».
Il presidente Mattarella sarà tutelato, come chiedono le opposizioni?
«Negli incontri è emersa una grande attenzione a non depotenziare il ruolo super partes del presidente della Repubblica. Una riforma di questo genere va vista per il futuro, è ovvio che entrerebbe in vigore solamente con la nuova legislatura. E nessuno immagina di interrompere prima della scadenza naturale il mandato di Mattarella».
La bicamerale rischia di rivelarsi una trappola?
«Valuterà Casellati insieme al premier Meloni, ma non vediamo la necessità di una bicamerale. Il dialogo sulle riforme si può portare avanti anche attraverso gli incontri con le opposizioni».
Non temete il referendum, dopo la bocciatura delle riforme di Berlusconi e Renzi?
«Su una riforma così importante potrebbe essere opportuno far decidere gli italiani in ogni caso, se anche dovessimo ottenere la maggioranza dei due terzi in Parlamento».
La Lega scalpita, vuole che l’Autonomia sia approvata prima delle Europee. Riuscirete a convincere Salvini?
«Non è così, c’è un clima collaborativo e non ci sono posizioni che devono essere mediate. La narrazione secondo cui il presidenzialismo è roba di FdI mentre l’Autonomia è roba della Lega è sbagliata».
Ne è sicuro? I due progetti non sono in conflitto, quantomeno dal punto di vista della tempistica?
«Il presidenzialismo è una battaglia di tutti i partiti di centrodestra e lo stesso vale per l’Autonomia. Non ci sarà una strategia sulla tempistica né la necessità di fare uno scambio. Sono due percorsi complessi che cercheremo di portare avanti nel minore tempo possibile».
Sulla Guardia di Finanza, Meloni ha perso il braccio di ferro con Giorgetti?
«Ci sono 14 nomi possibili tra cui De Gennaro e serve una valutazione attenta, ma non c’è nessun braccio di ferro sul comandante della Gdf. Decideranno insieme in spirito collaborativo, come sempre».