19 Settembre 2024

I tassi di interesse negli Stati Uniti superano il 5%. Confermando le attese del mercato, la Federal Reserve ha aumentato il costo del denaro dello 0,25%. Si tratta del decimo rialzo consecutivo, che ha portato i Feds funds, cioè i tassi di riferimento, all’intervallo del 5-5,25%, il livello più alto dalla metà del 2007.
Potrebbe essere l’ultimo intervento della banca centrale americana. «Il sostegno al nuovo ritocco è stato molto forte, ci stiamo avvicinando, ma forse ci siamo», ha affermato il presidente della Fed, Jerome Powell, nella consueta conferenza stampa dopo l’annuncio delle decisioni di politica monetaria. Ma sarà «una valutazione continua, riunione per riunione», insiste. Perché il Fomc, il comitato di politica monetaria della Fed «ha deciso un rialzo, ma non ha discusso su una pausa», precisa. Sottolineando, però, il «cambiamento significativo» nella guidance, cioè le linee guida dell’azione della banca centrale. La Fed ha rimosso dalla sua precedente dichiarazione la frase che diceva che potrebbero essere necessari «alcuni ulteriori» rialzi dei tassi. L’ha sostituita con la frase che dice che prenderà in considerazione una serie di fattori per «determinare la misura» in cui potrebbero essere «appropriati futuri rialzi». Da ora in poi, perciò, pe riportare l’inflazione al target del 2%, «il Comitato terrà conto della stretta cumulativa della politica monetaria, dei ritardi con cui la politica monetaria influisce sull’attività economica e sull’inflazione e degli sviluppi economici e finanziari».
A fine anno, Powell vede l’indice dei prezzi al consumo al 3% (a fine marzo era al 5% dal picco dell’9,1% lo scorso giugno). Ma «porteremo l’inflazione al target del 2% nel tempo», afferma. Fortunatamente, possiamo farlo senza penalizzare il mercato del lavoro», aggiunge. «Questa volta è diverso», sottolinea, i numeri lo provano: la Fed ha alzato i tassi al 5% e il tasso di disoccupazione resta al 3,5%. Perciò è «possibile raffreddare il mercato del lavoro senza una caduta». E per questo «è più probabile evitare una recessione che averla». E’ l’opinione personale di Powell, mentre gli economisti della Fed stimano «una recessione blanda».
Però gli aumenti dei tassi della Fed cominciati nel marzo 2022 hanno più che raddoppiato i tassi ipotecari, aumentato i costi dei prestiti auto, delle carte di credito e dei prestiti alle imprese. E causato il calo delle vendite di case. L’ultimo intervento della Fed potrebbe aumentare ulteriormente i costi di finanziamento.
L’impennata dei tassi, la più aggressiva degli ultimi 40 anni, ha contribuito, inoltre, al crac di tre grandi banche in meno di due mesi: a metà marzo la Silicon Valley Bank e la Signture Bank, poi lo scorso weekend First Republic, venduta con un’asta lampo a JpMorgan. Tutte e tre le banche fallite avevano acquistato obbligazioni a lungo termine, che pagavano tassi bassi e hanno perso rapidamente valore quando la Fed ha aumentato i tassi. «C’è stata la risoluzione delle tre banche al cuore della crisi, tutti i depositi dei clienti sono stati protetti. Ora dobbiamo concentrarci su che cosa succede alla disponibilità del credito».
Le recenti turbolenze hanno già provocato una riduzione dei prestiti da parte delle banche. E in futuro il credito potrebbe diminuire ulteriormente davanti all’esigenza degli istituti di aumentare la liquidità, anche in vista del rafforzamento delle regole di supervisione. Questo potrebbe agire come l’equivalente di un aumento dei tassi di un quarto di punto nel rallentare l’economia, aveva spiegato Powell a marzo. Ecco perché «alla luce di questi venti contrari incerti, sommati alle restrizioni di politica monetaria che abbiamo messo in atto», le future azioni della Fed «dipenderanno da come evolveranno gli eventi», sostiene l’avvocato-banchiere. E ripete: «Meeting per meeting».
Ma i recenti crac bancari, oltre a evidenziare la necessità inasprire le regole e rafforzare i controlli, come è merso dall’indagine sul crac della Svb condotta dal vice presidente Fed per la supervisione bancaria, Michael Barr, hanno insegnato anche un’altra lezione: la rapidità con cui i clienti hanno ritirato i depositi nel cosidetto bank run. Una velocità «mai vista prima, ora sappiamo che è possibile e dovremo tenerne conto», dice Powell. Che si sbilancia anche sulla politica fiscale quando mette in guardia davanti alla prospettiva di un default dello Stato, che potrebbe verificarsi già a giugno, secondo l’allarme lanciato dalla segretaria del Tesoro Janet Yellen. «Nessuno deve pensare che la Fed possa proteggere dai danni che un tale evento potrebbe infliggere agli Stati Uniti», dice. Ma questa è un’altra storia.
E’ questa enorme incertezza, tra pressioni inflazionistiche, timori di recessione e turbolenze bancarie, a spingere il mercato a scommettere su una pausa dell’azione Fed e la fine degli aumenti dei tassi. Una svolta ancora prematura nella zona euro.

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