23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Alessandro Piperno

La sorte l’ha presa di mira con una carica di violenza e distruzione impressionanti: attentati, atti vandalici, nulla è stato risparmiato a Parigi negli ultimi dieci anni.


Va bene, non è questo il tipo di cambiamento che Baudelaire aveva in testa. Del resto, occorre precisarlo, soprattutto alla fine della sua vita, manifestò a più riprese una certa profetica nonché criminale inclinazione agli spettacoli apocalittici. E tuttavia, per un attimo ho pensato che non fosse un caso che Baudelaire avesse scelto di dedicare quel suo commovente capolavoro a Victor Hugo: il titano francese per antonomasia, colui che più di chiunque altro ha contribuito a creare il mito romantico di Notre-Dame. Insomma, come si suol dire, tout se tient.

Occasione di rinascita
Resta da stabilire il genere di cambiamento prodotto da questa catastrofe. Così, di primo acchito, è di conforto sapere che la distruzione non è opera premeditata di una vile mano terrorista, che non ha causato vittime, che si è accanita soprattutto sulle parti non originali della cattedrale. Immagino che ciò renderà la ricostruzione meno straziante; e che, una volta smaltito il trauma, fornirà persino un’occasione per dare una ritinteggiata all’orgoglio dei parigini, dei francesi e forse, chissà, di tutti i cittadini europei di buona volontà. La cosa bella dei simboli (e il loro limite, forse) è che sono ignifughi.

Capitale dello spirito
Ma torniamo ai cambiamenti. Cosa dice di nuovo quella cattedrale antica, ma a suo modo così contemporanea, mitica, ma a suo modo così quotidiana, che brucia senza motivo in una bella serata di primavera di fronte allo sguardo attonito di tanti parigini e di non meno numerosi turisti? Ci dice, qualora non ce ne fossimo accorti, che in questo primo scorcio di millennio la sorte sembra aver preso di mira Parigi e i suoi scorbutici cittadini con una carica di violenza e distruzione impressionanti: attentati, atti vandalici, blocchi stradali troppo simili a coprifuochi, nulla è stato risparmiato a Parigi negli ultimi dieci anni. A chi come me non ci abita ma ci va abbastanza spesso, Parigi non è mai sembrata così indifesa, svagata e circospetta. E questo sì che è un cambiamento che fa male al cuore. Anni fa Walter Benjamin definì Parigi la capitale del XIX secolo, una formula adeguata a descrivere il magistero di una città che andava ben oltre il mero dato geografico e politico. Per Benjamin, Parigi era la capitale di un’epoca irripetibile dello spirito umano: l’epoca, per l’appunto, di Baudelaire e Hugo. Be’, a costo di apparire impertinente, vorrei dire che la formula di Benjamin, sebbene così efficace, mi sembra fin troppo riduttiva.

Organismo in movimento
Lo ammetto. Sono di parte. Ho passato un bel po’ della mia vita adulta a leggere gli scrittori che di Parigi hanno fatto Parigi. Tale insana frequentazione mi ha insegnato che è il contrario della «città ideale». O per dirla con Giovanni Macchia, cui ho rubato l’idea, che è «un enorme organismo in movimento animato nel suo divenire da una vita sotterranea, piena d’ombre profonde». Quale Parigi è più vera? La Parigi di Villon o la Parigi di Madame de Rambouillet? Quella di Manon Lescaut o quella di Rastignac? Quella di Hugo o quella di Baudelaire? Quella di Proust o quella di Céline? Quella di Hemingway o quella di Vargas Llosa? Quella di Bertolucci o quella di Polanski? Mi viene da pensare che siano tutte egualmente reali, sebbene ciascuna così singolarmente fantastica.

La malinconia di Baudelaire
Julien Green pensava che la mappa di Parigi avesse la forma di un cervello umano. E che forse per questo potevi capirla solo da lontano o guardandola dall’alto. Ma soprattutto pensava (un vero profeta) che «era la città che attira la collera, la città sempre in pericolo, perché dinanzi alle tentazioni di tutte le possibili grandezze non ha mai saputo fare il grande rifiuto che l’avrebbe protetta dal suo destino. Le sue basiliche e le sue torri danno in modo indefinibile l’impressione di tenere testa a qualcuno, e nel modo stesso in cui sono poste su quella piana tempestosa vi è qualcosa di pertinace, superbo e indomito». Niente rende bene l’immagine di Notre-Dame in fiamme come queste parole di Green. Dio solo sa se vorrei possedere la sua eloquenza per descrivere cos’è Parigi per me. Di certo è la capitale spirituale di un mondo più vasto della Francia, dell’Europa e di qualsiasi altra cosa la mia mente sia in grado di concepire. Per questo talvolta mi ha imbarazzato, mi è accaduto di temerla o di detestarla, e persino di non sapere dove metterla. E per questo oggi provo per lei la tenerezza che suscitano le regine ferite e in pericolo. Parigi cambia ma niente è cambiato nella mia malinconia. Per Baudelaire niente era più nobile della malinconia.

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