23 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Francesco Semprini

Trovate armi nel convoglio di auto diplomatiche perquisite alla frontiera. Le forze del generale costrette alla ritirata

Ai misurati progressi delle forze governative le milizie di Khalifa Haftar rispondono con lanci di missili alle porte di Tripoli, mentre l’armata del generale continua a perdere pezzi. È questo l’ultimo dispaccio dal fronte della nuova guerra civile in Libia, nel giorno in cui Fayez al Sarraj tuona contro Francia, Egitto e gli altri sponsor dell’uomo forte della Cirenaica nei confronti del quale arriva anche la prima condanna «in chiaro» delle Nazioni Unite. Il dato da registrare, dopo oltre dieci giorni di scontri, è la riconquista da parte delle unità del Governo di accordo nazionale di Suani ben Adem, 25 km a sudovest di Tripoli, teatro di violenti scontri nei giorni scorsi.
Residue avanguardie di Haftar sono accerchiate e intrappolate in alcuni edifici alla periferia sud della città, nodo nevralgico a 6 km dall’aeroporto internazionale, dopo che le relative compagnie sono state costrette ad arretrare di diversi chilometri verso Aziziya dopo il contrattacco dei Katiba fedeli al governo Sarraj. Alcune di queste hanno optato per la resa, come a Suani ban Adem, 25 km a sudovest di Tripoli, dove si è arresa un’intera compagnia di Tarhouna, parte di quella compagine che a settembre era stata protagonista della rivolta contro le milizie della capitale. I combattenti si sono consegnati alla brigata 166 di Misurata, attiva nell’area, una trentina di militari in tutto che hanno portato in «dote» diversi pick-up e quattro blindati dotati di armi pesanti.
Nella notte ad attaccare erano state invece le forze di Haftar con il lancio di cinque missili Grad sul quartiere di Abu Slim, a ridosso del centro della capitale che hanno centrato un’abitazione, causando almeno tre feriti, e distruggendo diverse auto di civili. «Khalifa Haftar non sta compiendo un’operazione anti-terrorismo, ma un colpo di Stato», tuona l’inviato speciale dell’Onu, Ghassan Salamè, in quella che è la prima vera accusa aperta del Palazzo di Vetro all’uomo forte della Cirenaica e alla sua marcia su Tripoli iniziata il 4 aprile. Si spinge ben oltre Serraj il quale punta l’indice sui governi che da sempre sostengono il generale.
«Ci sono Paesi che sono più responsabili di altri», spiega il presidente del Gna in riferimento a Francia ed Egitto. Sarraj, in un colloquio coi giornalisti, evoca la rivoluzione del 2011 spiegando che «il convoglio che si è mosso da Tripoli verso Bengasi è lo stesso che si era mosso verso Bengasi» otto anni fa, paragonando di fatto Haftar a Gheddafi. E i dubbi sull’ambiguità dell’Eliseo montano giorno dopo giorno. Una delegazione di diplomatici francesi, composta da una dozzina di persone a bordo di alcune auto con targa diplomatica, sarebbe stata fermata domenica dalle autorità tunisine al valico di frontiera tra Tunisia e Libia di Ras Jedir.
Alcune armi al seguito erano state dichiarate dal gruppo mentre altre armi, non dichiarate, sarebbero state ritrovate nascoste a bordo di un’auto. Le unità di polizia della frontiera tunisina avrebbero perquisito le auto usate dai diplomatici di nazionalità francese e condotto gli stessi all’aeroporto di Djierba-Zarzis. Cresce intanto il bilancio delle vittime di questa nuova guerra civile, almeno 147 morti e 614 feriti, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, mentre sono almeno 18mila gli sfollati, secondo le stime Onu.
Il crescente numero di morti ha spinto l’Oms a schierare squadre di chirurghi «per sostenere gli ospedali dell’area di Tripoli mentre affrontano il flusso dei casi di emergenza». Un elemento che potrebbe avere ricadute sull’Italia, come ricorda Sarraj stesso. «Fate presto», il peggioramento della situazione in Libia potrebbe spingere «800mila migranti e libici a invadere l’Italia e l’Europa». E in questo enorme numero di migranti ci sono anche criminali e soprattutto jihadisti legati a Isis pronti a infiltrarsi, secondo il premier libico. Sarraj ringrazia Roma per la sua mediazione e il suo sostegno in favore della pace in Libia, che si attua anche con «la presenza dell’Ambasciata a Tripoli e l’ospedale di Misurata» gestito nell’ambito della missione militare italiana. Al rischio dell’esportazione del terrorismo in Europa si somma quello dell’attacco a possibili obiettivi occidentali in Libia, come suggeriscono alcune fonti locali, e non solo da parte di cellule jihadiste.
Sono gli effetti della nuova guerra, a bassa intensità ma a lunga durata, «in cui l’unico perdente è la Libia», chiosa Serraj. Il quale davanti a chi paventa il rischio di vedere un giorno una Libia divisa in due, replica: «È quello che alcuni cercano di far sembrare, che questa sia una guerra tra Est ed Ovest. La verità è che questa è una guerra tra democrazia e dittatura».

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