19 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Marco Mendunii

Appartamenti di lusso nella villa dei Medici e condomini sulla collina patrimonio Unesco. Tutto regolare e a prova di legge. Italia Nostra: “Un disastro peggiore persino dell’abusivismo”

Divieto d’accesso. È un divieto tutto all’italiana, visto che al di là del cartello c’è un parcheggio pieno di auto. Di nuovo divieto d’accesso. Anche questo tutto virtuale. Incontri il gruppo di studenti che ha marinato scuola e si è rifugiato lì, tra le macerie. Dov’è la fattoria di Lorenzo il Magnifico? «In fondo a questo vialetto ma stia attento, le può crollare qualcosa in testa», ammonisce un ragazzo con lo zainetto in spalla. Incontri il migrante con un sacchetto e immagini che la notte l’abbia trascorsa qui dentro, malandato riparo del suo sonno. Anche la recinzione di plastica arancione è abbattuta e dietro al varco lo scheletro della fattoria rivela i crolli, i cedimenti, lo sgretolamento di un vanto del Rinascimento.

Senza logica
L’umiliazione del degrado è calata da anni sulla fattoria di Lorenzo de’ Medici. Gli stivali affondano nel fango, c’è un odore greve di putrido che ammorba l’aria. L’ultimo sbarramento è una grata: edificio pericolante. La scala è rimasta sospesa nell’aria, sotto è crollato tutto. La fattoria non è solo un monumento al degrado. È il simbolo di un’Italia che non va. Non è l’Italia dell’abusivismo, delle costruzioni che nascono clandestine, dei certificati mai chiesti e mai rilasciati. È l’Italia che manda in malora i suoi gioielli: eppure sono storie dove le autorizzazioni c’erano, i passi formali sono stati compiuti, la magistratura è intervenuta per impedire gli abusi. Il risultato è desolante e il degrado avanza . Oppure è l’Italia dove architetture oscene e inguardabili sorgono nei centri storici delle città, nelle piazze più belle, nei luoghi d’arte: anche queste, regolarmente autorizzate dalle istituzioni. Che poi, dopo, si palleggiano le responsabilità: ma ormai lo sfregio è fatto. Li ha catalogati Italia Nostra Onlus, questi disastri annunciati ma autorizzati. Una lista nera che va da Nord a Sud compilata regione per regione dall’associazione di salvaguardia dei beni culturali, artistici e naturali.

Architettura stravolta
Nella grande area verde della Cascine di Tavola, Comune di Prato, Toscana, nel 1477 il Magnifico decise di dare lustro a «quei pratacci tristi e con prunai e cannucceto».
Nacque una fattoria sperimentale che all’epoca era un vanto del mondo: architettonico, culturale, anche gastronomico. Ora non c’è quasi più nulla che non sia degradato e passeggiamo, con il batticuore, nelle grandi ali laterali completamente scoperchiate. E dire che ancora nel 2010 la fattoria si presentava quasi intatta, come se percorrendola si sentissero ancora le risate delle mondine della prima risaia in Toscana, l’aroma del miele e dei formaggi, il rumore della filatura della seta prodotta dai bachi. I versi degli animali, «esotici da caccia, quali pavoni, conigli di razza spagnola, daini bianchi». O della coppia di giraffe regalate da «el Soldano di Babilonia» (l’Egitto), allora chiamate camelopardi e portate in tour per la loro stravaganza. Come si è arrivati a questo punto di devastazione è un paradosso. Nel 2003 la fattoria, finita ai privati, è al centro di un progetto di ristrutturazione che nel vuol fare un complesso edilizio con 160 appartamenti e un hotel di lusso.

Tetti scoperchiati
C’è l’ok del Comune, c’è il via libera della Sovrintendenza. Tutte le carte in regola. O forse no. Perché dopo la denuncia di Legambiente e di Italia Nostra la magistratura interviene. Nel luglio 2008 sequestra tutta la proprietà. Ma lo fa quando tre quarti dei tetti sono ormai stati scoperchiati. «Nel momento peggiore», spiega Maria Rita Signorini, oggi presidente di Italia Nostra Toscana. Anche questa volta, le carte giudiziarie sono, evidentemente, in regola. Ma da allora inizia un’agonia alla quale nessuno ha più posto rimedio. Nel 2009 scatta un appello per «la messa in sicurezza dal degrado causato dagli agenti atmosferici» che ottiene un parzialissimo successo. Nel frattempo la fattoria va all’asta ma per cinque volte, l’ultima a luglio, c’è il deserto. La Regione nicchia, il Comune nicchia, i privati non si fanno sotto: non spaventano tanto i 2 milioni e 650 mila euro della base d’incanto ma i 28, almeno, che serviranno a recuperare un disastro provocato da incuria, sequestri, gravi ritardi, competenze ballerine sulla proprietà, ricorsi e rinvii.

Rinascimento o Las Vegas
Non c’è niente di abusivo o di clandestino nemmeno nella struttura nata in piazza del Sordello, il cuore storico e nobile di Mantova. Qui si affacciano il Duomo, il Palazzo Vescovile, il Palazzo Ducale, quello dei Gonzaga, poi la Torre della Gabbia, i palazzi Castiglioni e Acerbi. Non soltanto, però. Percorri la piazza calpestando l’acciottolato e sei percorso da un interrogativo. È l’ingresso di un parcheggio sotterraneo? È l’accesso a un diurno gigante (18 metri per 20) per chi è assalito dalle esigenze fisiologiche? È il mausoleo di un miliardario eccentrico? Sulla città incombe una sottile pioggerellina, chi passeggia sembra tenersi lontano, forse intimorito da tanta ineleganza. C’è però chi ne approfitta e si ripara: «Almeno a qualcosa serve», sospira un’anziana senza ombrello. L’edificio, basso e tozzo, ingentilito (è un eufemismo) da tre colonne bianche e sgraziate, ha il suo nome: Domus. È sorta a gennaio, è andata a coprire un cubo provvisorio che incombeva da quando, nel sottosuolo, è stata scoperta una casa romana tutta percorsa da un mosaico. Mantua me genuit, Mantova mi ha dato i natali, recita la tomba di Virgilio a Napoli e così si chiama l’operazione di piazza Sordello. Dopo un primo periodo di sbigottimento, un gruppo di cittadini ha organizzato una raccolta di firme. Sulla genesi dell’opera è scaricabarile. L’attuale sindaco Mattia Palazzi, Pd e renziano (accusato venerdì dalla procura di concussione per aver chiesto presunti favori sessuali) incolpa il suo predecessore, Nicola Sodano di Forza Italia. Sodano, che è architetto, non ci sta: «Volevo eliminare il cubo e spostare i mosaici al Museo archeologico ma la soprintendenza ha detto no. Secondo tutte le autorità questa è una sistemazione corretta». A lui non piace: «Io credo che piazza Sordello non possa sostenere nulla del genere». Ora tocca a Palazzi: «A me non piace. Dire che bisogna distruggerla però è irrealistico. Cerchiamo di capire come limitare i danni». Tutte le parti in causa concordano: l’opera ha tutti i timbri prescritti. Non è certo un abuso edilizio. Sarà difficile liberarsene. In una nazione dove anche il provvisorio diventa definitivo, spazzar via quel che come definitivo viene proposto è un problema quasi irrisolvibile.
È un interrogativo che si trascinano dietro tutti gli amministratori eredi di opere decise da chi lì ha preceduti. Non fa eccezione Pierluigi Peracchini, sindaco di centrodestra della Spezia, che ha svoltato alle ultime elezioni dopo 46 anni di dominio della sinistra. «Questa piazza – spiega Peracchini – è stata una follia, ha tagliato in due la città, sembra un ufo atterrato dal cielo e ha costi di manutenzione enormi: ogni quattro mesi bisogna rifare la pavimentazione distrutta dai bus nelle corsie riservate». Parla della nuova piazza Verdi ed è inevitabile che il tema del brutto, o quantomeno del terribilmente inappropriato, abbia caratterizzato e forse deciso la campagna elettorale.

Archi multicolori in centro
È la sera di un giorno d’autunno e c’è poca gente. Gli spezzini stanno faticosamente prendendo confidenza con il camminamento sotto gli archi quadrati, colorati che riflettono le panchine sospese sui piccoli specchi d’acqua. Il tempo lenisce i contrasti più duri e scolora il ricordo di quel 30 dicembre dell’anno passato, l’inaugurazione della nuova piazza, in cui La Spezia si mostrò spaccata, due fazioni contrapposta bava alla bocca, cartelli, insulti, grida.
Ora due ragazzini innamorati si baciano sotto gli archi luminosi e multicolori ma nulla è del tutto dimenticato: gli ambientalisti infuriati dal taglio dei pini, i commercianti per i disagi insopportabili di un cantiere eterno, le mamme degli studenti esasperate per la difficoltà di recuperare i propri figli a scuola. Buon peso, le contumelie di Vittorio Sgarbi contro gli archi colorati di Daniel Buren che ha realizzato il restyling con l’architetto Giannantonio Vannetti. Le critiche dei cittadini più conservatori quando osservano gli archi luminosi gialli, blu, rossi e verdi: «Ci manca solo Prezzemolo», il draghetto verde simbolo di Gardaland. L’ex sindaco Massimo Federici, Pd, l’ha rivendicata come un vanto: una piazza restituita alla città. Ha seguito la strada di una gara, 89 i progetti presentati, una commissione qualificata ha scelto. Tutto regolare. I costi però si sono impennati: la piazza doveva costare 2 milioni e mezzo, ma la spesa è lievitata fino a 4 milioni. L’interrogativo sovrano: ha senso un intervento così invasivo, così fuori contesto, nel cuore di una elegante piazza liberty? Conclude realisticamente Peracchini: «Vorrei almeno ridurre l’impatto, togliere obelischi e archi colorati. Ma come si può pensare di spendere ora altri soldi dei cittadini?».

Carte in regola, opere no
Un’ora esatta di macchina e la destinazione raggiunta è Pisa. C’è padre Giuliano ad attenderci sulla piazza della chiesa di San Francesco. È fasciata dai ponteggi e i vandali li hanno utilizzati per sfregiarla imbrattando la facciata. I portoni sono chiusi dall’aprile 2016 e padre Tomasz Rylko annunciò «una delle più brutte date di questa chiesa». Ci sono stati crolli del tetto e la situazione è di grave pericolosità. Ma anche stavolta sono le regole, le carte e le burocrazie a rallentarne restauro e riapertura: la spinosa questione sta nella proprietà. È del demanio, cioè dello Stato, e non dell’arcidiocesi, che non ha nessuna giurisdizione. Risultato: uno stallo che è durato fino ad oggi. Una ferita per la città, i fedeli ma anche la comunità mondiale degli amanti dell’arte, della storia, della letteratura. Nel complesso monumentale, che comprende anche il chiostro, è sepolto il Conte Ugolino della Gherardesca, podestà e comandante pisano; la sua prigionia è narrata da Dante Alighieri nel canto 33 dell’inferno. Due capolavori di Giotto e Cimabue sono oggi al Louvre: ma tutto quello che è custodito all’interno ne fa comunque un’opera fondamentale.
Guidati da padre Giuliano ci spingiamo, attraverso al chiostro e alla sagrestia, protette da reti che impediscono alle volte di far cadere i calcinacci. Ma sulla porta che immette alla chiesa bisogna fermarsi. Vietato entrare. Il pericolo è reale e può concretizzarsi in ogni attimo. L’unica navata grandissima (70 metri per 18), è sprofondata nell’oscurità. Solo la luce di una torcia illumina i tesori. Alle spalle lo straordinario campanile che posa, quasi sospeso, su due mensole di Giovanni di Simone, l’architetto che provò a «raddrizzare» la Torre di Pisa negli ultimi tre piani.

Zero recupero
La crisi inizia quasi per caso: nel settembre di due anni fa un assessore fa un sopralluogo sulle mura cittadine e nota dall’alto che una parte del tetto è crollata. Le impalcature vengono montate anche all’interno: danneggiate 18 travi che sostengono la copertura, prima arriva la chiusura delle tre cappelle laterali di destra, tra cui quella della famiglia Della Gherardesca, poi il presbiterio e l’altare maggiore. Da quel momento non succede più nulla. «La verità – spiega l’architetto Maria Grazia Tampieri della soprintendenza di Pisa – è che nelle città d’arte la coperta è sempre drammaticamente corta e gli interventi moltissimi». Però assicura: «Tutta la situazione della chiesa è stata studiata, c’è l’interesse del ministero, c’è la possibilità di altri apporti».
Giura: se si fa in fretta, tutta l’operazione recupero potrebbe partire nel 2018 per arrivare l’anno successivo alla riapertura. La Fondazione Pisa si è impegnata ed è disposta a mettere 2,4 milioni sul piatto: ma ora tocca al ministero muoversi. Intanto la grande chiesa «dello Stato» continua a rimanere sbarrata. Scempi e omissioni nell’Italia con le carte bollate in regola.

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