INTERVISTA
Fonte: Corriere della Sera
L’ex ministro degli Esteri tedesco: «L’Europa deve rimanere fedele ai suoi valori: spero che seguiranno nuovi esempio e un nuovo spirito di solidarietà nell’Unione Europea»
«Sono orgoglioso del mio Paese. Quella di Angela Merkel sui rifugiati è stata una decisione giusta e coraggiosa. Con essa si chiude per sempre il dibattito se la Germania sia o meno terra d’immigrazione e d’asilo: la risposta è sì. Ora siamo di fronte a una grande sfida e dobbiamo affrontarla nel modo corretto. Ricordiamoci però che non è stata una scelta dell’Europa, ma del capo del governo tedesco. Spero che inneschi una nuova dinamica anche nell’Unione, non solo sul tema delle migrazioni. Ma i grandi Paesi della tradizione europea — Germania, Francia e Italia — devono ricominciare a lavorare insieme, mostrando la strada agli altri 25». Joschka Fischer ammette di «essere stato sorpreso» dalla nuova svolta della cancelliera, sempre più madre della nazione e ora sulla buona strada per diventare madre d’Europa. Si dice perfino più ottimista di qualche mese fa, l’ex ministro degli Esteri, che nel pamphlet «Se fallisce l’Europa» aveva messo in guardia dal pericolo di una deriva inarrestabile della costruzione comunitaria. Un rischio non esorcizzato del tutto, avverte Fischer: «La crisi greca non è finita. Anzi. Mi auguro che da questo sviluppo nasca una nuova forma di solidarietà. D’altronde non dobbiamo dimenticare che sulla Grecia, di fronte alla ferma posizione presa da Italia e Francia, la cancelliera ha scelto contro il ministro delle Finanze Schäuble, fautore della Grexit, evitando una grave crisi con due storici partner. E forse bisogna riflettere sull’immagine esageratamente negativa di Angela Merkel, affermatasi nell’ultimo anno nel Sud dell’Europa. Lo dico io, che critico la sua politica economica».
Com’è nata la decisione della cancelliera?
«Tutti in Germania e in Europa avevano visto le terribili immagini delle dimostrazioni di Eidenau, in Sassonia, dove una struttura per i rifugiati è stata attaccata da estremisti di destra. C’è stata una mobilitazione della società civile. Queste cose da noi non possono succedere. La politica ha reagito bene. A differenza dell’Italia che vive ogni giorno la realtà drammatica dei profughi, dei morti nel Mediterraneo, la Germania sembrava lontana dall’emergenza. E improvvisamente sono lì, hanno percorso migliaia di chilometri, anche a piedi, per venire da noi. È impressionante».
Cosa ci dice la svolta sulla personalità e la leadership di Angela Merkel?
«È stata una decisione sul modello di quella presa dopo Fukushima, quando in una notte cambiò linea e decise la fine del nucleare. Non credo ci sia molta strategia dietro, piuttosto intuito. Allora furono soprattutto ragioni elettorali. In questo caso è stata motivata da valori umanitari. Per questo mi levo il cappello».
La scelta di Merkel potrebbe danneggiarla all’interno? La Csu bavarese l’ha criticata con forza.
«Non credo rischi nulla, perché si fonda sul consenso della maggioranza dei tedeschi. Anche i bavaresi, a dispetto della Csu, si sono comportati con grande generosità. E poi nella Baviera cattolica un ruolo importante gioca anche papa Francesco, le sue dichiarazioni hanno pesato».
Merkel sta facendo della Cdu il partito della nazione?
«Questa decisione ha cambiato la Germania. Merkel è riuscita a socialdemocratizzare la Cdu, ponendo la Spd in una situazione difficile».
La crisi dei rifugiati è per l’Europa una minaccia esistenziale come quella finanziaria?
«Il tema delle migrazioni tematizza la questione della solidarietà in modo ancora più forte. Se cioè l’Europa rimane fedele o no ai suoi valori, se è solidale o meno. Ho sempre pensato che fosse una tragedia lasciar sole Italia e Grecia a far fronte all’onda dei profughi. Il lavoro svolto dalla Marina italiana nel Mediterraneo è stato indispensabile per salvare migliaia di vite umane ed evitare tragedie più grandi. Ma Roma non può rimanere in eterno da sola. Spero che la Commissione e gli Stati membri trovino ora una risposta comune. Il diritto d’asilo nazionale non funziona più. Le regole di Dublino sono vecchie. La gente continuerà a venire, dal Medio Oriente, dall’Africa, dai Balcani».
Lei è scettico però sulla possibilità dell’Europa di influenzare la soluzione delle cause profonde. Perché?
«Perché sono sfide gigantesche. In Africa abbiamo Stati falliti come la Somalia e la Libia. In Medio Oriente, i conflitti sono troppo complessi perché l’Europa possa riuscire a risolverli. Quello che dobbiamo sicuramente evitare è un coinvolgimento militare».
E quale può essere allora il contributo dell’Europa nella lotta al Califfato?
«L’Isis non nasce dal nulla, è espressione delle crisi mediorientali, uno strumento nella battaglia per l’egemonia. Io credo che non ci sia soluzione diversa da quella che le nazioni coinvolte troveranno insieme fra di loro. Noi europei possiamo solo mettere in campo una più forte azione diplomatica. Certo abbiamo bisogno anche di forza militare».
Per farne cosa?
«L’hard power è sempre meglio averlo e far sapere di averlo anche se non bisogna necessariamente usarlo».