Fonte: Il Sole 24 Ore
di Marco Mobile e Giovanni Parente
Non solo Industria 4.0. L’esecutivo giallorosso sta studiando il ritorno dell’Aiuto alla crescita economica (Ace), lo sconto fiscale introdotto nel 2011 per favorire il rafforzamento patrimoniale dell’aziende. Vicino l’addio alla cosiddetta mini Ires
La spinta alla crescita delle imprese e del sistema produttivo non passerà soltanto per il rilancio e la stabilizzazione del piano «Industria 4.0» come anticipato ieri a Il Sole 24 Ore dal ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (M5S). Sul tavolo dei tecnici e nelle intenzioni del Governo è tornato al centro del dibattito l’Aiuto alla crescita economica, conosciuto come Ace. Uno sconto fiscale introdotto nel 2011 con l’obiettivo di sostenere il rafforzamento patrimoniale delle imprese e dell’intero sistema produttivo italiano. Le società di capitali, gli enti commerciali, gli imprenditori individuali, le società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria, fino allo scorso anno, infatti, potevano dedurre dal reddito imponibile netto, un importo pari al rendimento figurativo degli incrementi di capitale.
L’atteso ritorno dell’Ace
L’agevolazione è stata soppressa con la legge di Bilancio dello scorso anno ed è stata sostituita dalla cosiddetta mini Ires. Ad oggi è rimasta solo la possibilità di utilizzare le eccedenze Ace prodotte nei periodi d’imposta in cui l’agevolazione era operativa. Rivista e corretta con il decreto crescita del governo gialloverde, la mini Ires in vigore dal 1° gennaio scorso riconosce una riduzione progressiva dell’aliquota Ires dal 24% al 20% a partire dall’anno d’imposta 2023 per gli utili reinvestiti in azienda. Per il 2019 lo sconto Ires è dell’1,5% portando l’aliquota dell’imposta pagata dalle imprese al 22,5 per cento.
Un ritorno, quello dell’Ace, particolarmente atteso e chiesto a più riprese dal mondo produttivo e dagli intermediari e consulenti d’azienda nonché dagli stessi esperti tributari che, su queste pagine nei giorni scorsi, hanno messo al primo posto delle misure fiscali di sostegno all’attività di impresa per il piano di azione del “Conte 2”, il ripristino dell’Ace. Riavvolgere il nastro rispetto a quanto deciso un anno fa con la soppressione della aiuto alla crescita in favore della mini ires e del potenziamento del regime forfettario non sarà comunque facile.
Il nodo delle coperture
A pesare saranno sicuramente gli effetti sulla finanza pubblica. In due parole occorrono le coperture. Un nodo che non dovrà comunque portare a innescare ulteriore disorientamento tra operatori e imprenditori. Se si tornerà all’Ace questo dovrà avvenire dall’anno d’imposta in corso ossia dal 2019 e non dal 2020 sfruttando le risorse della mini Ires. Non è infatti pensabile di applicare un anno un nuovo regime e tornare al vecchio bonus l’anno successivo. Un’agevolazione a gradimento crescente. A tal punto che Governi e Parlamenti che si sono succeduti hanno limitato l’impatto sul gettito abbassando le aliquote.
Il rendimento figurativo del capitale proprio è stato ridotto con la legge di Stabilità del 2017 prima dal 4,75% all’1,6% e dal 2018 in poi all’1,5 per cento. L’appeal è dimostrato dai numeri emersi dalle statistiche fiscali sulle dichiarazioni dei redditi. In Unico 2016 (anno d’imposta 2015) erano addirittura 622mila le imprese (tra ditte individuali e società di persone e capitali) che hanno sfruttato il bonus. Un numero poi leggermente calato l’anno successivo, quando i beneficiari sono stati poco meno 462mila. Mentre il dato (ancora parziale) per le dichiarazioni 2018 parla di 98.500 ditte individuali che hanno capitalizzato con un vantaggio fiscale per 237 milioni e 30.700 società di persone che hanno maturato il diritto alla deduzione corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale per un importo di circa 126 milioni di euro.
A questo si aggiunge anche la possibilità di sfruttare l’eventuale eccedenza di bonus, che quindi non va perduta. Ad esempio, per le ditte individuali la parte non utilizzata e riportata al 2018 è stata di 636 milioni di euro mentre è stato trasformato in credito d’imposta in diminuzione dell’Irap un ammontare di 149mila euro.