22 Novembre 2024
Raffaele Fitto

Raffaele Fitto

Per il ministro degli Affari Ue, Pnrr e Sud la missione dei funzionari Ue che in questi giorni saranno a Roma rientra nelle verifiche già previste

La premessa di Raffaele Fitto, sollecitato sul tema nel corso del “Forum in Masseria” di Manduria, è che sul Pnrr non ha intenzione di accendere polemiche. Ma alla fine, pur evitando con eleganza un attacco frontale, il ministro degli Affari Ue, Pnrr e Sud sembra mandare un messaggio sulle responsabilità da attribuire al governo Draghi per eventuali ritardi, da imputare anche all’intransigenza di fronte a possibili modifiche.

L’integrazione del REPowerEu
«Avrei voluto che la necessità del dibattito che facciamo oggi – dice – fosse emersa nei due anni precedenti. Ricordo che a giugno del 2022, nel corso della Conferenza programmatica Fratelli d’Italia avanzò la proposta di usare l’articolo 21 del regolamento (sul Next generation Eu, ndr) per modificare il Pnrr e all’epoca tutto si scagliarono contro di noi solo per avere immaginato quest’ipotesi». La situazione descritta poi da Fitto è quella sintetizzata anche nella Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr appena trasmessa al Parlamento. «Abbiamo tempo fino al 31 agosto 2023 per modificare il Piano integrando il capitolo REPowerEu. Finora solo otto Paesi lo hanno fatto, in considerazione di uno scenario mutato perché i piani erano stati elaborati in era pre-guerra in Ucraina, senza il contesto di aumento dei costi delle materie prime e dell’energia».

Gli obiettivi
Quanto ai ritardi, Fitto ricorda che Italia, Spagna e Grecia sono al momento i tre soli Paesi ad aver chiesto la terza rata. «Al 31 dicembre 2022 dovevamo raggiungere 55 obiettivi per ottenere l’accredito di questa tranche. Il nostro governo – e lo dico senza intenti polemici, anche se mi tirano per la giacchetta per farlo – si è insediato a fine ottobre e, carte alla mano, in quel momento 25 di questi obiettivi erano stati raggiunti. Noi li abbiamo raggiunti tutti in pochi mesi e nei tempi inviati a Bruxelles. Ora è iniziata una fase di assessment, più lunga di quelle precedenti perché quelle rate non erano collegate a obiettivi così stringenti, per i i quali si entra nel merito». E anche sull’arrivo in settimana di funzionari della Commissione europea, si ostenta tranquillità. «Già immagino polemiche inutili. Si tratta della quarta missione, prevista come le tre precedenti con cadenza semestrale».

I fondi di coesione
Pur nell’ottimismo per la terza rata, preoccupa la sostenibilità di diversi progetti in vista della data finale del Pnrr, cioè il 30 giugno 2026 come ultimo giorno per attestare la spesa. «Siamo sicuri di completare gli interventi a giugno 2026? Ricordo che in caso di revoca di un intervento c’è la beffa di dover finanziare il già fatto e anche il mancante». Di qui anche il tentativo di spostare i progetti che sono in maggiore ritardo su strumenti che hanno un tempo di rendicontazione più lungo, come i fondi della programmazione europea 2021-2027 (termine di spesa fine 2029) e il Fondo nazionale per lo sviluppo e la coesione, che non ha vincoli predeterminati di scadenza. Il collegamento tra i tre serbatoi di fondi (Pnrr, ciclo dei fondi strutturali e Fsc) è necessario – ribadisce ancora una volta Fitto – «anche per evitare di finanziare interventi in sovrapposizione o in contrasto». Su questo si è avviato un tavolo con ogni singola Regione per arrivare a 21 singole delibere di assegnazione e qui il riferimento sembra essere in primo luogo al Fondo di sviluppo e coesione per il periodo 2021-2027 che vede circa 25 miliardi fermi da mesi tra le polemiche dei governatori, a partire da quelli di Campania e Puglia.
Ogni valutazione parte da dati critici in termini di capacità di spesa, delle Regioni – va detto – quanto dei ministeri. Su questo Fitto ricorda gli ultimi dati della Relazione sullo stato di attuazione della politica di coesione 2014-2020. «Osservo che tra fondi Ue e fondi nazionali, su 126 miliardi di euro, dopo nove anni è stato speso appena il 34%. Con il Pnrr dobbiamo spenderne 220 in cinque anni: qualche domanda forse dobbiamo farcela».

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