23 Novembre 2024

Fonte: Il Sole 24 Ore

di Riccardo Sorrentino


Non è una dichiarazione molto populista. Sembra piuttosto un riferimento alle vecchie idee americane (più “neoliberiste”, in realtà) del trickle down, dello sgocciolamento della ricchezza dall’alto verso il basso. Matteo Salvini non appare spaventanto dal fatto che la flat tax aiuti soprattutto chi guadagna di più, mentre ha effetti limitati per chi ha un reddito più basso.
«L’importante è che ci guadagnino tutti», ha detto, per poi aggiungere: «Se uno fattura di più e paga di più è chiaro che risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più e crea lavoro in più».
È un ragionamento economico che in realtà prevede tanti, tanti se. In qualche modo lo stesso Salvini, indicando effetti multipli e non sempre compatibili tra loro – risparmiare di più e acquistare una macchina in più – è in condizioni di comprendere cosa in realtà potrebbe succedere. L’esperienza di George W. Bush può essere d’aiuto: aveva introdotto tagli fiscali ai redditi maggiori con lo scopo di aumentare i risparmi e quindi gli investimenti americani, e si è trovato di fronte a un aumento degli acquisti di beni durevoli, in buona parte importati.

Il ruolo delle aspettative
Molto dipende da come i tagli alle imposte saranno percepiti. Se gli italiani dovessero pensare che la riduzione delle tasse sarà provvisoria, potrebbe prevalere l’aspetto dell’aumento dei risparmi. È successo così con i famosi 80 euro di Renzi, che – malgrado fossero destinati ai redditi più bassi e più orientati al consumo – non si sono trasformati in maggiori consumi ma magari hanno aiutato le famiglie indebitate a ridurre la loro esposizione con le banche (che è una forma di risparmio). Un aumento del debito pubblico, le tensioni sui mercati, le polemiche con l’Europa sono tutti fattori che possono alimentare l’idea che i tagli alle imposte siano presto destinati a essere abrogati. Solo una maggiore solidità del Paese, e dei conti pubblici, potrebbe convincere gli italiani a spendere gran parte del maggior reddito reso disponibile dalle riduzioni delle tasse. Se però la produzione non aumenta in pari misura dei consumi, una parte di queste maggiori spese potrebbe alimentare i prezzi e quindi l’inflazione, un’altra le importazioni (ma molto dipendebbe da come cambierebbe la politica di bilancio in coincidenza con i tagli dei tassi e con quale velocità questi saranno introdotti).

Più risparmi, più investimenti?
I risparmi sono però già piuttosto elevati, in Italia: le famiglie già risparmiamo molto. L’effetto economico complessivo in questo caso potrebbe non essere così rilevante. Può in ogni caso questo risparmio aggiuntivo trasformarsi in maggiori – e magari migliori – investimenti (e quindi posti di lavoro)? Questo è il vero punto della questione: l’Italia ha bisogno di investimenti e di investimenti migliori. Nel ’99, al momento dell’introduzione dell’euro erano pari al 20% del pil; nel 2007, prima della crisi, erano saliti al 22% del pil, dal 2013 in poi oscillano intorno al 17,2 per cento.

Il ruolo delle banche
In astratto è vero, maggiori risparmi potrebbero trasformarsi in maggiori investimenti (o in un deflusso di risorse verso l’estero…). In concreto le cose sono più complicate. In Italia – come nel resto dell’Europa continentale – sono le banche a finanziare le imprese e solo aziende di credito sane possono dare prestiti. Per qualche anno ancora molte aziende di credito saranno invece alle prese con le sofferenze che riducono la loro capacità di prestare denaro. Le condutture per distribuire i flussi di risparmi alle imprese si sono insomma ristrette.

Il nodo dell’innovazione
L’Italia non offre certo l’ambiente più propizio per realizzare nuovi investimenti e innovare. Le procedure lunghe e complesse, la molteplicità delle amministrazioni da coinvolgere, i costi elevati, il livello di corruzione – che, al di là delle polemiche, è un problema serio – rendono molto complicato varare qualsiasi nuova iniziativa. Non si dimentichi, in ogni caso, che a produrre crescita sana è l’innovazione, più che l’aumento in sé degli investimenti, e nel nostro paese iniziano a mancare figure professionali in grado di interagire efficacemente con le nuove tecnologie. È qui allora che occorre davvero intervenire, sull’economia reale: rendere più semplice investire, migliorare le scuole.

Capitali all’estero?
Non sarebbe una sorpresa se i risparmi fossero canalizzati altrove. Nel nostro Paese – e non solo – l’economia reale è inoltre spiazzata dalla finanza che rischia di calamitare gran parte dei risparmi aggiuntivi. La finanza pubblica, nel nostro caso, che offre rendimenti più elevati: oggi per il rischio Paese, in passato anche per il rischio inflazione. La possibilità che le risorse liberate dai tagli delle tassi restino catturate dal mondo della finanza – in Italia non a Wall Street, ma al ministero dell’Economia di via XX settembre – è reale. Senza contare che gli investitori e i risparmiatori spaventati potrebbero portare denaro all’estero: chi non crede ai complotti li ha già visti in azione nei giorni scorsi…

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