Un’istituzione creata per emettere debito europeo comune col quale assistere Paesi dell’Unione che si trovino in difficoltà. Le modifiche proposte sono già state approvate da 18 Stati su 19 membri: manca solo l’Italia
Finora il fondo è stato utilizzato raramente e solo ai suoi inizi, per aiutare Spagna, Grecia e Portogallo. Da allora i governi sono sempre stati riluttanti a farvi ricorso. Non solo perché per accedere a questo finanziamento un Paese deve accettare «condizionalità», cioè un controllo esterno sui propri conti pubblici, ma soprattutto perché chiedere aiuto al Fondo significa ammettere che quel Paese non riesce più a finanziarsi sul mercato: un segnale di debolezza che potrebbe scatenare la speculazione.
Il nuovo trattato fa un piccolo passo avanti consentendo di usare le risorse del Fondo per arginare una crisi bancaria: è un passo verso l’unione bancaria europea, ma non risolutivo. Un fondo come questo, con risorse ampie ma non illimitate, non può arginare una crisi bancaria. Per fermarla è necessario che lo Stato, o un suo fondo, siano disposti a impiegare risorse illimitate (whatever it takes). Se le risorse sono limitate sarà la speculazione ad avere la meglio. In conclusione, questa riforma del Fondo è un piccolo avanzamento nella giusta direzione, ma è probabile che i governi continueranno a non usarlo.
Nella conferenza stampa di fine anno Giorgia Meloni non si è detta contraria alla ratifica — che peraltro spetta al Parlamento, non al Governo —, ma dubbiosa sulla sua utilità. «Piuttosto che ratificare una riforma che in ogni caso, temo, manterrà quelle risorse bloccate, vorrei lavorare su qualcosa di diverso, che possa essere vagamente utilizzabile dai Paesi che ne fanno parte. Quindi con condizionalità diverse e minori. E magari anche con obiettivi un po’ più centrati rispetto alle attuali priorità».
Ha certamente ragione, ma chiedere minore condizionalità è una strada pericolosa che ci porterebbe ad uno scontro con i Paesi del rigore, dal quale usciremmo perdenti. Anziché arrivare per ultimi e approvare le modifiche del trattato dicendo che però non servono a nulla, il governo italiano potrebbe intraprendere un’altra strada. Nel momento in cui il Parlamento ratifica il trattato, dovrebbe mettersi al centro della discussione europea facendo una proposta che risolverebbe un problema oggi centrale nell’unione monetaria.
Non è un’idea nuova: fu scritta un anno fa in un documento italo-francese (scritto da Charles Weymuller, consigliere economico dell’Eliseo, Veronica Guerrieri, Guido Lorenzoni, Leonardo D’amico ed io) e illustrato da Draghi e Macron in un articolo sulFinancial Timesdel 24 dicembre 2022.
Il Fondo salva Stati, come detto, così com’è serve a poco. Tranne per un aspetto: è l’unica istituzione europea, oltre alla Commissione, che può emettere debito comune. La Commissione lo emette per finanziarie i Pnrr dei vari stati, il Fondo per finanziare Paesi in difficoltà. Ma c’è una funzione molto più importante che potrebbe svolgere.
Negli ultimi otto anni la Bce ha acquistato ingenti quantità di titoli pubblici dei Paesi dell’euro: questo l’ha portata ad avere in bilancio il 30 per cento di tutto il debito che ha emesso la Germania e un quarto di quello italiano. Lo scopo era sostenere la domanda privata ed evitare che l’inflazione restasse a lungo negativa, una situazione particolarmente pericolosa in Paesi ad alto debito. Acquistando titoli, la Bce ha anche stabilizzato il mercato evitando crisi finanziarie all’interno dell’euro-area. Questa politica (il cosiddetto Quantitative easing) ha funzionato, in Europa, come negli Stati Uniti.
Anche negli Stati Uniti il bilancio della Federal Reserve si è molto allargato, ma la Fed ha acquistato solo titoli pubblici americani, mentre la Bce ha acquistato titoli emessi dai governi di tutti i Paesi dell’euro. Quando la Banca centrale europea decidesse di vendere i titoli acquistati influirebbe sui loro prezzi, gli spread si allargherebbero, l’area euro sarebbe più segmentata.
C’è un modo per evitarlo. La Bce potrebbe vendere quei titoli al Fondo salva Stati che li acquisterebbe finanziandosi tramite l’emissione di debito comune, come già fa. Il Fondo diverrebbe, di fatto, un’agenzia europea del debito. La Bce ne avrebbe due vantaggi: si libererebbe dei titoli che detiene, sostituendoli con debito comune europeo, e potrebbe usare questo debito comune per le sue operazioni monetarie, esattamente come fa la Fed americana.
Questo non significa che i Paesi possano, in questo modo, trasferire ad altri il costo del proprio debito. Ciascuno Stato continuerebbe a pagare gli interessi sui propri titoli, ma con una differenza: li pagherebbe al Fondo che userebbe quelle risorse per finanziare il debito comune. Ma soprattutto la Bce potrebbe gestire la politica monetaria senza preoccuparsi di stabilizzare i mercati dei titoli pubblici.