Alla vigilia delle elezioni la dissoluzione del centro macroniano e lo scontro tra le estreme rischia di far esplodere il problema del debito pubblico
La regola che in politica non esistono vuoti, ma vasi (o travasi) comunicanti trova la massima conferma in Francia. Nel suo primo mandato, il presidente Macron era riuscito a costruire un movimento di centro che ha svuotato i due tradizionali assi portanti della Repubblica francese: il partito socialista che fu di Mitterrand e Hollande e il partito popolare/gollista che fu di Pompidou e Chirac, oggi lacerato fra correnti «macroniste» e tentazione di inseguire l’estrema destra di Marine Le Pen. Dal secondo mandato in poi, l’elettorato di Macron, deluso da promesse mancate e troppi errori di strategia, è andato a ingrossare le frange estreme e il partito dell’astensione.
Così, alla vigilia del voto anticipato si confrontano due blocchi, il Fronte popolare delle sinistre e il Rassemblement National. Uno più eterogeneo (che tiene insieme persino filorussi e filo ucraini) e uno cementato dall’ideologia sovranista e xenofoba. Entrambi guadagnano consensi a spese del centro, senza ritrovare il senso di un’alternanza democratica fra destra e sinistra. C’è al contrario, già nelle piazze, il rischio della contrapposizione violenta.Entrambi sono decisi a sedurre la base popolare con promesse intercambiabili sul piano sociale e fiscale: ad esempio, l’abolizione della riforma delle pensioni voluta da Macron e l’aumento delle protezioni sociali.
Quanto alla possibilità di mantenerle, tutto si gioca nel mondo dei sogni o di programmi che si riassumono nell’aumento del già enorme deficit dello Stato. Di fatto, l’Assemblea Nazionale sarà dominata da due blocchi, entrambi favorevoli a colossale spesa pubblica ed entrambi pronti a ridiscutere gli impegni europei della Francia in materia fiscale. Intanto, Standard & Poor’s ha abbassato il rating del credito. E a differenza del caso Grecia, una nuova crisi del debito coinvolgerebbe la seconda economia dell’UE e uno dei suoi Stati fondatori.
È facile prevedere il seguito: per il Paese e per l’Europa. Occorre infatti tenere presente che la politica liberale e riformista che il presidente Macron ha preteso di realizzare in questi anni ha prodotto oltre mille miliardi di debito pubblico supplementare, portandolo alla soglia critica di tremila miliardi, (116 per cento del Pil) con un spesa di servizio al debito del 5,5 per cento del Pil, superiore alla spesa per l’istruzione nazionale.
Di fatto, Macron ha aperto un’autostrada politica agli estremisti distruggendo la destra e la sinistra di governo. Ma il guaio è che il Rassemblement National, a differenza del fronte confuso delle sinistre, ha saputo trasformarsi da formazione tendenzialmente neofascista in un partito populista di riferimento. A parole, anche un partito della pace civile, dell’ordine e del rispetto dei valori civici. Nei fatti, mina la coesistenza con l’introduzione del principio della priorità nazionale nei luoghi di lavoro, nell’assegnazione degli alloggi e nelle prestazioni sociali.
Il paradosso è che il Fronte Popolare strizza l’occhio alle componenti musulmane della società francese e contiene (con il leader radicale Melénchon) una tendenza anti sionista, mentre il partito di Marine Le Pen finisce per piacere anche alle comunità ebraiche per la sua componente islamofobica. L’estremismo culturale e religioso rischia così di mescolarsi all’estremismo politico ed economico, con il risultato che sia stravolta anche la politica estera francese degli ultimi anni.
Se, come è probabile, il Rassemblement National governerà la Francia, le misure preannunciate e la deriva politica fanno venire i brividi. Gli esperti hanno conteggiato un impegno di spesa sociale per oltre cento miliardi. Quanto alla politica estera, protezionismo in salsa ungherese e riavvicinamento alla Russia. «In questo senso — come ha scritto su Le Point, il saggista Nicolas Baverez — la Francia si trova emarginata in Europa e tra le democrazie a causa del suo declino economico, della sua dipendenza commerciale e finanziaria e degli errori della sua diplomazia. Oggi non può più contare sull’indulgenza dei mercati finanziari, dei nostri partner europei e dei nostri alleati.»