La fase da leader responsabile di Marine Le Pen è finita con il processo e il rischio ineleggibilità. E la leader del Rassemblement ha causato la fine del governo Barnier, che aveva sostenuto
Dalla tribuna al centro dell’Assemblea nazionale Marine Le Pen, deputata del Pas-de-Calais, attacca senza pietà il governo che pure lei aveva sostenuto fino al giorno prima, permettendone la nascita e breve vita: «Illusione ottica», «incubo tecnocratico», «Barnier responsabile di una legge di bilancio che penalizza, come sempre, i francesi giudicati troppo ricchi per essere aiutati, ma non abbastanza poveri per sfuggire alla persecuzione fiscale». È una Marine Le Pen vestita di scuro, che ha abbandonato il suo frequente sorriso beffardo per assumere i toni gravi della statista che farà cadere, per la prima volta dal 1962, un governo francese.
Seduto sugli spalti del pubblico sorride invece Jean-Luc Mélenchon, il leader della France Insoumise (la sinistra radicale) che è co-autore dell’assassinio politico di Michel Barnier, ma non è deputato perché ormai preferisce non candidarsi neppure: il suo campionato è quello dell’Eliseo, si sente presidente, e oltretutto quando nel 2012 Mélenchon cercò di conquistare il seggio di parlamentare nel Nord fu sbaragliato proprio da Marine Le Pen, da allora regina della cittadina ex operaia di Hénin-Beaumont.
I due si detestano (o fingono di farlo), ripetono di continuo che «tutto ci separa», ma è la loro alleanza di fatto che pone fine al più breve governo della Quinta Repubblica. Michel Barnier ha occupato la poltrona di premier per appena 90 giorni, e mentre Marine Le Pen lo umilia gridando «Dove vanno i soldi? Sempre più tasse e sempre meno servizi!» e Jean-Luc Mélenchon lo osserva dall’alto, lui prende appunti, uomo diligente d’altri tempi, 73enne paziente che ha passato quattro anni a difendere gli interessi dell’Unione europea nei negoziati della Brexit, e in tre mesi è stato sbattuto fuori da Matignon.
La fase della «leader responsabile», puntello esterno del governo, ha cominciato a estinguersi il 13 novembre, il giorno in cui la procura di Parigi ha chiesto per lei cinque anni di carcere e di ineleggibilità al processo sugli assistenti parlamentari. Invece di aspettare docilmente la sentenza prevista il 31 marzo, Marine Le Pen sceglie la strategia del caos e fa cadere il governo mentre il debito pubblico supera i tremila miliardi, i mercati si allarmano, lo spread aumenta e girano battute sulla «Grecia sulla Senna».
Nel suo discorso Marine Le Pen attacca soprattutto Emmanuel Macron, il vero bersaglio. Lo invita a prendere atto del fallimento e a lasciare di sua volontà l’Eliseo. Aggiunge che ha troppo rispetto per le istituzioni per partecipare alle manovre, «anche parlamentari», per ottenere la sua destituzione forzata.
Quelle manovre le lascia ai «cheguevaristi da carnevale», dice voltandosi verso i deputati della France Insoumise e verso Mélenchon. Ecco finalmente il momento inevitabile del rispetto delle forme, e della tradizione: l’estrema destra insulta la sinistra radicale, e del resto Mélenchon e gli altri insultano Marine Le Pen persino nella mozione di censura contro Barnier, dove si legge che il premier è colpevole di avere ceduto «alle vili ossessioni dell’estrema destra». Non importa, la mozione viene votata assieme da entrambi i nemici.
Nemici forse soprattutto sulla carta, e non solo perché oggi è la loro unione di intenti a fare cadere Barnier. I deputati guidati da Marine Le Pen e quelli ispirati da Jean-Luc Mélenchon hanno già votato nella stessa direzione in passato, e del resto il Rassemblement national e la France Insoumise hanno posizioni simili su tanti temi di fondo: se «il sistema», dal presidente Hollande nel 2012 a Macron ancora oggi, ha sempre cercato di rilanciare l’economia puntando sull’offerta, loro preferirebbero sovvenzionare la domanda ovvero il potere d’acquisto dei cittadini; sono entrambi contrari alla riforma delle pensioni voluta da Macron, detestano l’Europa — Mélenchon inorridisce ogni volta che vede la bandiera blu con le dodici stelle esposta all’Assemblea nazionale — quasi quanto diffidano dell’America e della Nato, per non parlare della comune indulgenza verso il Cremlino e della freddezza verso Kiev. Etienne Gernelle, direttore di Le Point, dice che l’Italia serve come sempre da laboratorio politico: non siamo all’esecutivo giallo-verde di Lega e Cinque Stelle, ma sono soprattutto i populismi di destra e di sinistra uniti a far crollare il governo della Francia.