20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Aldo Cazzullo

Tutti i sondaggi danno al secondo turno Macron e Le Pen. Ma Fillon è in rimonta perché può contare sulòa struttura gollista, per quanto divisa. E Hollande pensa di aver sbagliato a non ricandidarsi

Chi volevano uccidere? Me, fa sapere François Fillon: avevano già preparato il video della rivendicazione con la mia foto. Me, replica Marine Le Pen: i terroristi sono stati arrestati a Marsiglia e volevano colpire «nell’immediato».E in effetti ieri sera lei era a Marsiglia, dove ha riempito il Dome di francesi inferociti con islamisti e islamici.
Prontamente l’entourage di Emmanuel Macron informa che i servizi avevano messo in guardia pure lui, sostenitore dell’integrazione e quindi implacabile nemico degli integralisti.
Inspiegabilmente ignorato, Jean-Luc Mélenchon si felicita con i rivali per lo scampato pericolo e assicura di voler lottare al loro fianco contro l’Isis.
Ad arbitrare la competizione interviene l’unità di coordinamento dell’antiterrorismo, che chiarisce: Fillon è al livello di pericolo 2; Le Pen al 3; Macron e Mélenchon al 4. Il socialista Hamon è ignorato da tutti, dai terroristi e dal suo partito, terrorizzato solo dal fatto che il candidato non raggiunga neppure la soglia per i rimborsi elettorali.
Gli arresti di Marsiglia non sono la svolta della campagna; ma confermano l’impressione che Fillon abbia ancora una carta da giocare. Tutti i sondaggi danno al secondo turno Macron e Le Pen. Ma l’ex premier è in rimonta; e non solo perché ai suoi comizi da cinque giorni ci sono i tiratori scelti sui tetti, gli sono stati vietati i bagni di folla e a Nizza gli hanno chiesto di indossare il giubbotto antiproiettile, ricevendo un fermo diniego («Non ho paura, io»).Il personaggio di Francois
Fillon è l’unico ad avere dietro un partito, per quanto diviso; e un partito vuol dire non essere soli. Vuol dire avere militanti che non si limitano a rispondere ai sondaggisti, non partono per il week-end se il tempo è bello, non dimenticano di iscriversi alle liste elettorali, non appartengono alle élites urbane sedotte da Macron. Che è interessante, giovane, dinamico; piace a tutti, anche a vecchi arnesi come il sessantottino Cohn-Bendit, che ieri l’ha affiancato in un affollato meeting a Nantes; ma non ha alle spalle un’organizzazione, un territorio, una credibilità nel parlare di Islam e di sicurezza. È il preferito dai giovani, che però votano in pochi; Fillon è il preferito dai pensionati, che votano quasi tutti. Per mobilitare i cattolici è in continuo pellegrinaggio tra i santuari mariani; non perde una messa, il sabato santo ne ha prese due, la prima nella cattedrale di Nostra Signora dell’Annunciazione in Alvernia, la seconda nella chiesa copta di Chatenay-Malabry (Alta Senna). Resta però staccato di 3-4 punti, anche perché i dinosauri neogollisti stanno facendo pochino. Sarkozy si è limitato a un messaggio di sostegno su Facebook; con la consueta simpatia, ha fatto sapere ai giornalisti amici che vorrebbe tanto salire con Fillon su un palco, ma teme di surclassarlo nell’applausometro. Anche Juppé ha evitato comizi congiunti, ma almeno ieri l’ha accompagnato nella visita alla sede parigina di Deezer, azienda leader nella musica on demand. «Sono pronto a tutto — ha detto Juppé — pur di evitare uno scenario da incubo: il ballottaggio Mélenchon-Le Pen. Come scegliere tra la peste e il colera».L’appestato e la colerosa
Neanche i candidati dell’estrema sinistra e dell’estrema destra hanno un partito. Mélenchon se ne farà uno dopo le presidenziali. Le Pen ha una setta: suo padre è il fondatore, il suo compagno il vicepresidente; l’unica deputata è sua nipote, i discorsi glieli scrive il cognato. Per Marine queste elezioni sono la sfida della vita. La vittoria di Trump l’ha convinta che può farcela anche lei; ma la volata lunga l’ha stancata e innervosita. Mélenchon resta indietro, però è cresciuto molto grazie ai duelli tv: è il più colto, la sua Francia è quella rivoluzionaria e letteraria di fine Ottocento, cita di continuo la Comune e Zola, i deportati in Nuova Caledonia e i minatori di Germinal; e queste cose ai francesi di sinistra piacciono. Fillon, che ne invidia lo charme, per irriderlo lo chiama «il capitano della corazzata Potiomkin»; lui definisce Fillon e Macron «santoni della magia nera, che trasformano le sofferenze del popolo in oro per sé».
I punti di contatto tra «la peste» e «il colera» sono impressionanti. Li divide solo l’immigrazione; non a caso ieri Marine a Marsiglia ha picchiato duro. Per il resto, sia lei sia Mélenchon sono per uscire dalla Nato e di fatto pure dall’Europa. Sono protezionisti. Sono contro gli ogm. Promettono la pensione a sessant’anni, più spesa sociale, più salario per i funzionari pubblici. Soprattutto, sono contro il sistema, le élites, l’establishment, i «media di regime» e la finanza, cui minacciano di rimborsare il debito pubblico in «moneta fiscale» o in franchi. Per questo i mercati guardano con terrore alla loro ascesa. La Francia da tempo non è un Paese dinamico, su cui investire alla ricerca del colpaccio; ma almeno era un Paese sicuro, a livello quasi tedesco. Queste presidenziali segnano l’ingresso nell’instabilità politica, dopo che il Bataclan aveva aperto l’era dell’instabilità emotiva. Ma se gli attentati del 13 novembre 2015 riunirono il Paese attorno a Hollande, l’attacco del 14 luglio 2016 a Nizza, con il disastro dell’intelligence, è stato per lui il colpo di grazia.

Hollande e il fantasma del Bataclan
Il presidente però è furibondo. È convinto di aver fatto l’errore della vita a non ricandidarsi. Oggi, in un quadro così frammentato, forse avrebbe la sua chance. In una dolente intervista-testamento ha maledetto il tempo che gli è dato in sorte: «Viviamo in una democrazia incapace di vedere la realtà. Tagliavo le tasse alle imprese, e finivo sui siti perché avevo la cravatta storta. Annunciavo nuovi posti di lavoro, e in rete mi prendevano in giro perché ero fradicio di pioggia». In realtà, il «presidente normale» non ha saputo affrontare un’epoca straordinaria. Che è appena cominciata.
Fonti del ministero dell’Interno spiegano che la vera questione non è certo chi volesse uccidere la cellula Isis di Marsiglia. Attentare alla vita di un candidato all’Eliseo è molto complesso. Colpire a caso è facilissimo. Nel covo del quartiere popolare dal poetico nome Bella di Maggio sono stati trovati tre chili di esplosivo Tatp: tanto basta per distruggere due palazzi; gli attentatori del Bataclan ne avevano con sé solo 50 grammi. I poliziotti sono in rivolta per i turni massacranti, cui si aggiunge ora la sorveglianza di 67 mila seggi e di tutti gli obiettivi simbolici; a cominciare da Notre Dame e dalla Tour Eiffel, considerati l’ossessione degli islamisti. Da due mesi sono in carcere Thomas S., 20 anni, e la sua fidanzata sedicenne, ribattezzati «gli innamorati della Tour», che volevano far saltare. Dietro l’apparente normalità e la ritrovata gentilezza, i parigini mascherano un trauma che ogni nuovo allarme risveglia. L’associazione Vittime del 13 novembre ha smascherato tre impostori: si erano fatti tatuare la data, l’immagine del Bataclan, una Marianna piangente; rilasciavano interviste su come erano sopravvissuti; ma al Bataclan non erano mai stati.

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