Fonte: La Stampa
di Ugo Magri
Il Presidente rinvia a domani la decisione sul premier. Oggi vede i presidenti delle Camere
Prima di mettere l’Italia nelle mani di un premier che lui non conosce, di cui poco gli italiani sanno, totalmente privo (e potrebbe perfino essere un bene) di curriculum politico-amministrativo qual è il professor Giuseppe Conte, il Presidente della Repubblica ci vuole pensare. Magari non i 72 giorni che Salvini e Di Maio hanno impiegato per scodellargli il nome, ma qualche ora in più è abbastanza comprensibile. Da una parte c’è stata finalmente l’indicazione dei partiti, ai quali Conte sembra il giusto compromesso, e figurarsi se Mattarella non ne terrà conto; dall’altra però c’è la Costituzione che attribuisce al Presidente un certo numero di funzioni tra cui una è proprio quella di nominare il capo del governo.
Questo signore, una volta preso possesso di Palazzo Chigi, entra nella famosa stanza dei bottoni e da lì «dirige la politica generale del governo e ne è responsabile», «mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività del Consiglio dei ministri». Sono responsabilità da far tremare i polsi, che Mattarella ieri ha ritenuto opportuno far presente prima alla delegazione Cinque stelle e poi a quella leghista, dando testuale lettura della Costituzione, articolo 95: e non era mai successo, a quanto risulta, nella storia d’Italia.
Il vero punto di attrito
Di qui la frenata del Colle o, se si preferisce, la pausa per riflettere su quanto sta accadendo. C’è lo spread che rialza la testa, c’è il giudizio pesante dell’agenzia Fitch Ratings, la stessa che teneva sulle spine i governi di Berlusconi, c’è l’Europa che minaccia di stendere un cordone sanitario intorno all’Italia. Di Maio e Salvini che venivano a presentargli il loro accordo si sono trovati di fronte, nello studio alla Vetrata, un Presidente preoccupato, confermano dalle parti del Quirinale, per i segnali di allarme sui conti pubblici che mettono in pericolo i risparmi dei cittadini. Se venisse a mancare la fiducia delle istituzioni Ue e dei mercati, le nostre banche tornerebbero nel mirino, con tutto quanto ne consegue. Tra i collaboratori nessuno lo ammette, ma forse il Presidente si sarebbe atteso dai protagonisti una maggiore consapevolezza dei rischi collettivi.
Lo hanno ascoltato con rispetto, in silenzio, senza sollevare obiezioni, ma il vero punto di attrito sarà la scelta del ministro per l’Economia, colui che più ancora del premier dovrà tagliare le unghie della speculazione rassicurando e garantendo la nostra rispettabilità di debitori. Che in via XX Settembre Mattarella non gradisca piromani, agitatori o profeti ma personaggi solidi, con la testa saldamente sulle spalle, è un segreto di Pulcinella.
Attesa di risposte
Materia di riflessione presidenziale non è dunque soltanto la figura del premier, ma l’intera squadra ministeriale incominciando dal dicastero dell’Economia. La Lega insiste per metterci Paolo Savona, uno studioso sulla cui competenza nessuno discute, però fieramente ostile all’euro e teorico della nostra fuoriuscita. Arriverebbe Salvini al punto di far saltare il banco, qualora quel nome si rivelasse un ostacolo? È l’interrogativo che aleggia non solo al Quirinale, dove ieri nessun leader ha osato estrarre di tasca le liste dei papabili ministri che circolano sui giornali (peraltro tutte vere). Prima Mattarella dovrà investire il premier, e l’incarico a Conte potrebbe arrivare già domattina se le prossime ore verranno impiegate per fare chiarezza sull’intera squadra ministeriale, Economia compresa. La frenata non è lo stop definitivo, garantiscono sul Colle, ma che resti una certa tensione lo confermano le parole serali di Di Maio: «Un veto su Conte? Mattarella non si permetterebbe mai».