23 Novembre 2024

Forse oggi più persone sono consapevoli del fatto che sopravvivenza, stili di vita, libertà, benessere, potrebbero dipendere nei prossimi anni da quanto accadrà nel vecchio continente

Chissà se la guerra ha cambiato qualcosa. Fino a poco tempo addietro trattare dei problemi dell’integrazione europea significava affrontare un tema tedioso, forse anche soporifero, per tanti nostri connazionali. Ma ora si sta disfacendo un ordine internazionale che per tanto tempo ci ha avvolti tutti come una calda (benché invisibile) coperta, e che ci ha protetto dai venti gelidi che normalmente spazzano la storia. Forse oggi più persone sono consapevoli del fatto che sopravvivenza, stili di vita, libertà, benessere, potrebbero dipendere nei prossimi anni da quanto accadrà in Europa. Non solo ma anche.
Quando si parla dell’Europa e della sua sicurezza occorrono due avvertenze. Senza le quali, il resto diventa chiacchiera inutile. La prima avvertenza è che ora e anche nel prevedibile futuro la difesa delle democrazie occidentali è affidata alla Nato (e hanno ragione, dal loro punto di vista, quelli che, detestando le democrazie, vorrebbero sbarazzarsene). Mai confondere i sogni e la realtà: forse — ma non è affatto certo — un giorno ci sarà una difesa europea a salvaguardia delle nostre democrazie. Se anche essa si materializzerà, comunque, non potrà essere altro, realisticamente, che la gamba europea dell’Alleanza atlantica. Oggi,e chissà per quanto tempo, l’unico scudo che abbiamo e che avremo è la Nato (e quindi il legame, politico e militare, con gli Stati Uniti). Ernesto Galli della Loggia (Corriere, 16 maggio) ha ben chiarito che cosa in realtà vogliono coloro che sostengono che i nostri interessi di fondo colliderebbero oggi con quelli degli Stati Uniti. Di fronte all’imperialismo russo, polacchi e baltici, e anche finlandesi e svedesi, si sentono protetti dalla Nato, e quindi da Washington, non certo dalla Unione europea. E ciò vale anche per l’Italia. Sarebbe assurdo il contrario.

La seconda avvertenza è che molto del futuro dell’Europa si deciderà in Germania. Incorre in un abbaglio chi pensa che sarà la Francia di Macron a prendere la guida del processo di integrazione.La Francia non ha il «fisico», la stazza, per svolgere quel ruolo. Può essere soltanto un comprimario. È la Germania che deve decidere se vorrà essere, al di là del suo ruolo economico, la locomotiva politica del treno europeo. La decisione di innalzare massicciamente la spesa militare è stata letta come il segno di una svolta storica. Ma lo sarà soltanto se si inserirà, sotto la pressione della minaccia russa, in un più generale ripensamento da parte della classe dirigente tedesca e della pubblica opinione, del ruolo internazionale della Germania e della relazione che essa intende istituire fra la sua potenza e l’Unione europea. Bisognerà seguire con attenzione il dibattito pubblico tedesco nei mesi a venire.
Poniamo che Germania, Francia, Spagna e Italia (nonostante il nostro sistema politico sia una macchina scassata e con le ruote sgonfie) trovino un accordo per andare al di là dei trattati, per esempio per sfuggire a quella specie di comma 22 in base al quale per eliminare la regola dell’unanimità occorre l’unanimità. Poniamo che si trovi il modo di procedere con le cosiddette «cooperazioni rinforzate» (o comunque le si ribattezzi) in materia di difesa. La difesa, ricordo, è il cuore di qualunque unione politica. Bisognerà creare istituzioni nuove di zecca (magari anche svuotando, eventualmente, le istituzioni europee del settore difesa oggi esistenti) all’interno del sistema istituzionale europeo, istituzioni in cui si deciderebbe a maggioranza e in cui il rifiuto di aderire alle scelte di maggioranza comporterebbe l’automatica espulsione. Non c’è altro modo per fare nascere, credibilmente, un’Europa della difesa e della sicurezza. Se avessero successo, le nuove istituzioni, col tempo, attirerebbero al loro interno molti altri Paesi dell’Unione. In prospettiva, si andrebbe verso quell’Europa a cerchi concentrici che, nel corso degli anni, è stata più volte proposta. Difficoltà tecnico-giuridiche da superare ce ne sarebbero ma quando entra in gioco l’istinto di sopravvivenza le soluzioni si trovano. Sempre che la Germania, eccetera, eccetera.
Stiamo per caso parlando di un costituendo «Stato europeo»? Ma no, Dio ce ne scampi. Il grano di verità che c’è (insieme ad altre cose non convincenti) nella critica sovranista dell’Unione è che sarebbe assurdo, nell’Europa delle diversità, pensare di costruire una entità statale continentale lontana anni luce dai cittadini comuni e che sarebbe una minaccia per le diverse tradizioni culturali dei Paesi europei. Un’idea che, oltre che irrealizzabile, non è per nulla seducente. Ma al tempo stesso si tratterebbe di qualcosa di diverso da una pura confederazione. In un’altra epoca, quando l’ordine internazionale a guida occidentale non era ancora stato sfidato, anche chi scrive, polemizzando, come i britannici pre-Brexit, con l’idea di Stato europeo (e, in pratica, con certi eccessi dirigisti alla francese), ha evocato il tema della confederazione. Anche se con i correttivi necessari per salvaguardare il mercato unico, la moneta e gli altri frutti dell’integrazione europea. Adesso però siamo in altri tempi, tempi duri che richiedono soluzioni nuove.
Nelle confederazioni classiche ogni Stato mantiene la sovranità. Quando la pressione esterna è massima il rischio, se non la certezza, è che dopo un po’ ciascuno faccia come gli pare. Alla fine l’intera costruzione crolla. La storia ne offre esempi innumerevoli.
Se non che, fortunatamente, il «federalismo» può essere declinato in modi diversi. È un ombrello capiente al di sotto del quale prendono posto varie soluzioni istituzionali. In genere, ognuna di esse nasce da compromessi fra visioni e interessi diversi. Non ha importanza come in seguito verrà etichettata la soluzione adottata.
Il sistema delle democrazie occidentali è sotto attacco. L’Europa in particolare dovrà vedersela con le minacce a Est ma anche con i pericoli che si materializzano nelle aree in ebollizione al di là del Mediterraneo. Fronteggiarne l’instabilità sarà cruciale per garantire all’Europa sia sicurezza che rifornimenti energetici.
Non è chiaro ancora quanti europei lo abbiano compreso ma l’Europa, per la prima volta dopo le scelte che seguirono la fine della Seconda guerra mondiale, si trova a un bivio: deve decidere se essere o no parte attiva nella difesa di quel mondo occidentale di cui fa parte. Il resto è retorica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *