22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Roberto Giovannini

Il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda: «L’amministrazione Usa si trova in un processo di revisione» della politica energetica, in particolare sul tema del climate change e dell’accordo di Parigi

Certamente è un risultato negativo per la diplomazia italiana, che non è riuscita – nonostante uno sforzo straordinario nel corso della due giorni di Roma conclusa oggi – a portare a casa la firma degli Stati Uniti in calce a una dichiarazione comune dei 7 Grandi sull’energia e il clima che sia contenesse un riferimento alle decisioni della COP 21 di Parigi e alla necessità di una transizione accelerata verso le energie pulite. Nella conferenza stampa finale, il ministro dello Sviluppo economico italiano Carlo Calenda – che ha coordinato l’incontro – ha dovuto così affermare che «l’amministrazione Usa si trova in un processo di revisione» della politica energetica, e che dunque «non è stato possibile firmare una dichiarazione congiunta su tutti i punti».
Non è stata una sorpresa. Già nelle scorse settimane gli incontri preparatori degli sherpa in vista del G7 dell’energia avevano fatto emergere l’irrigidimento da parte degli Usa e del segretario del Dipartimento dell’Energia Rick Perry, notoriamente “climatoscettico”, a ogni riferimento esplicito all’intesa con cui tutti gli Stati del mondo (Stati Uniti compresi) si sono impegnati ad attuare politiche di contenimento delle emissioni da combustibili fossili per limitare l’innalzamento della temperatura globale. Del resto, proprio in marzo il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per smantellare le principali misure antiemissioni decise dal suo predecessore Barack Obama. A quanto risulta, nel corso della due giorni dei Sette Grandi paesi industrializzati Perry avrebbe anche cercato di inserire all’interno del Documento Comune del G7 una formulazione che facesse riferimento in forma positiva al ricorso al carbone e alle altre fonti fossili. Una linea che è stata bocciata però in modo secco da tutti gli Stati presenti, ovvero i Grandi europei (i ministri dell’Energia di Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia, oltre al rappresentante della Commissione Europea) ma anche i ministri di Giappone e Canada.
Sarà il caso di ricordare che questo tipo di documenti comuni hanno un valore soprattutto politico generale, e che comunque di lotta al cambiamento climatico si parlerà di nuovo al G7 di Taormina, nel vertice dei capi di Stato e di governo previsto a fine maggio. La speranza di una qualche concessione da parte americana c’è sempre, ma è molto probabile che anche a Taormina però sul climate change si possa assistere a un muro contro muro tra gli Usa di Trump e il Resto del Mondo, che crede nella necessità di una decarbonizzazione dell’economia.
Quel che è certo è che ieri – forse anche al fine di evitare una ulteriore drammatizzazione del confronto con gli Usa, e lasciare aperta la porta a possibili sorprese – alla conclusione del vertice diversi rappresentanti europei hanno spiegato che il dibattito con gli americani è andato in fondo meglio di quanto si temesse. Come ha detto Calenda, con gli Usa «non ci sono frizioni, il dibattito è costruttivo». Ancora più ottimista è apparsa la ministra francese dell’Energia e Ambiente Ségolène Royal: «I contatti con Rick Perry sono stati molto cordiali, c’è una vera volontà da parte sua di essere all’ascolto. Non c’è stata nessuna dichiarazione che fa pensare che torna indietro sulla questione climatica. Lui stesso quando era Governatore del Texas ha fatto sforzi in particolare per sviluppare l’eolico. Abbiamo parlato dei problemi dell’innovazione tecnologica e in particolare in tutte le filiere della crescita green».

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