Il sospetto della Finlandia per un possibile atto di sabotaggio dietro la perdita del gasdotto Baltic Connector, che la collega con l’Estonia, fa balzare ulteriormente il prezzo del gas sui mercati. Martedì 10 ottobre nel primo pomeriggio i futures al Ttf di Amsterdam sono indicati a +13% verso quota 50 euro al megawattora, con il guasto che riaccende i timori sulla sicurezza delle infrastrutture energetiche in Europa, a poco più di un anno di distanza dall’esplosione che ha danneggiato il Nord Stream. Il governo finlandese ha annunciato che terrà una conferenza stampa per discutere dell’incidente. Il primo ministro Petteri Orpo (NCP) e altri funzionari dovrebbero essere presenti. Il nuovo boom delle quotazioni segue quello di lunedì 9 ottobre, primo giorno di contrattazioni dopo l’attacco di Hamas in Israele, quando il rialzo ha toccato il 12%, facendo temere per le prossime bollette energetiche.
Il blocco del giacimento Tamar
Da domenica 8 ottobre, a causa della sua vicinanza con la zona del conflitto, è stata chiusa temporaneamente la piattaforma dei giacimenti Tamar a Nord di Gaza, che si trova a 25 chilometri dalla città di Ashdod ed è nel raggio di azione dei razzi di Hamas che partono dalla Striscia. Secondo l’americana Chevron, che la gestisce, Tamar fornisce il 70% del fabbisogno israeliano per la produzione di energia elettrica ed è la principale fonte di approvvigionamento per Israele (e in parte minore per Egitto e Giordania), che quindi lo richiederanno altrove, restringendo il mercato. Con l’avvio di Tamar dieci anni fa, a cui hanno fatto seguito altre scoperte e sfruttamenti (come Leviathan), Israele è diventato un importante fornitore di gas a livello regionale, e il conflitto costituisce un rischio per la produzione.
L’accordo Libano-Israele sui confini marittimi
Ma l’attacco e la possibile escalation del conflitto potrebbero minare il riavvicinamento, almeno sul piano energetico, tra due storici nemici, Israele e Libano. Un anno fa, a ottobre del 2022, i due Stati ancora formalmente in guerra hanno raggiunto un accordo sulla definizione dei loro confini marittimi (mentre su quelli terrestri sono tuttora in disaccordo), dopo una disputa durata più di dodici anni e che aveva come oggetto le pretese di entrambi i Paesi su alcuni pozzi di gas (come Qana e Karish). Grazie alla mediazione Usa, le dispute si sono risolte in un accordo storico, che ha permesso la spartizione delle risorse energetiche al largo delle rispettive coste e ha aperto alla possibilità di sfruttare i giacimenti senza il rischio di contese.
I giacimenti del Mediterraneo orientale
Se nell’area opera già una compagnia, Energean, quotata a Londra (dove non a caso è crollata del 17,5% lunedì 9 ottobre) e a Tel Aviv, le potenzialità di fare nuove scoperte di gas nel Mediterraneo orientale sono note e anche altre società oil&gas stanno studiando il dossier. A novembre 2022 Eni e TotalEnergies hanno firmato un accordo con le autorità israeliane per la ricerca di depositi di gas naturale al largo delle coste di Israele e del Libano, in acque che erano precedentemente contese. In particolare, fanno parte di un consorzio che opera nel Blocco 9 del giacimento Qana. Altre scoperte hanno riguardato i giacimenti offshore di Aphrodite, nelle acque al confine tra Cipro e Israele.
L’export da Israele
Israele da importatore netto è diventato esportatore. Ha sfruttato le scoperte per soddisfare il proprio fabbisogno e per esportare parte del gas nei Paesi vicini: Giordania ed Egitto, al quale è collegato attraverso un gasdotto. E altre infrastrutture potrebbero essere realizzate per portare verso l’Europa, attraverso Cipro e la Grecia, il gas del Mediterraneo orientale. C’è allo studio il gasdotto Poseidon (EastMed Pipeline), che senza l’assenso della Turchia difficilmente vedrà la luce. Ma qualsiasi piano energetico si abbia nel Mediterraneo orientale, ora con il conflitto potrebbe complicarsi.