21 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Ilario Lombardo

Dopo l’Umbria, il leader boccia l’intesa col Pd: «Ci danneggia». Parlamentari contrari. Telefonata con il premier

Non è che altre volte fosse andata molto meglio. Solo nel 2019: in Abruzzo il M5S arriva terzo con il 20% dei voti (regione che erano sicuri di stravincere); in Sardegna terzo di nuovo ma il tonfo è ben più pesante all’11%; e infine terzi in Piemonte al 13%. E ovviamente c’è quel 17% delle Europee che rende più complicata la ricerca di un colpevole fuori casa. L’elenco delle ultime elezioni perse, quando i 5 Stelle andavano verso la disfatta alle urne in beata solitudine, è ben presente a Giuseppe Conte mentre al telefono ascolta le ragioni di Luigi Di Maio che, irremovibile, conferma: «L’esperimento con il Pd è finito. Ci danneggia».
Il capo politico dei 5 Stelle si fa forza su un sondaggio riservato che dimostrerebbe come il 30 per cento degli elettori umbri dei 5 Stelle si siano astenuti per la scelta di andare con il Pd. Dato confermato con cifre ancora più negative da Swg e Istituto Cattaneo secondo i quali un elettore su due che ha votato 5 stelle alle elezioni nazionali del 2018 ha disertato il voto. Questa è la prova che Di Maio agita per spiegare la sua scelta. «Così per noi non funziona» dice a Conte. Il premier Conte ascolta, consapevole di un elemento incontrovertibile: è Di Maio a guidare un partito, con le sue convulsioni, le sue contraddizioni e tensioni. Di Maio deve trovare una sintesi tra anime diverse che compongono la polveriera grillina. Conte, per ora, rappresenta se stesso, anche se in Parlamento e fuori le cose si muovono e i gruppi guardano a lui sempre di più.
«Sei tu il capo politico, Luigi. Io non posso intervenire in tutto questo. Sappi però – aggiunge il presidente del Consiglio – che io non mi farei fermare da questa elezione. Mi prenderei del tempo, per valutare il progetto, testarlo in sfide che sono più a portata». Insomma, l’Umbria non può essere fatale, secondo Conte. Perché era persa già dal principio e le condizioni erano chiare, dallo svantaggio di partire da uno scandalo sulla sanità che ha decapitato l’amministrazione regionale del Pd. «Io in questo progetto ci credo, però» confessa Conte e spiega di considerarlo al di là delle singole elezioni regionali, seppur importanti. Conte ragiona a livello nazionale, «su una prospettiva più di lungo respiro». E lo dice anche chiaramente rilanciando l’azione di governo fino al 2023 e ricordando quell’elenco iniziale di sconfitte: «Il M5s anche in passato non ha avuto buone performance locali, ma il 4 marzo del 2018 ha avuto un grande successo a livello nazionale. Questo quadro d’insieme quando si fanno delle valutazioni va tenuto in conto».
«Pensaci» è quello che chiede Conte a Di Maio. il leader sembra aver chiuso ogni possibilità di ripensamento ma non è detto che alla fine sarà del tutto così. Di certo, Di Maio si è fatto i suoi calcoli. Non è un caso che dopo l’Umbria abbia stoppato ogni altro remake del patto civico. Sa che alla prossime tappe l’accordo sarebbe stato molto più sofferto. E lo spiega a Conte: «In Emilia i miei non vogliono sentir parlare di Bonaccini (governatore uscente e candidato del Pd)».Nemmeno di desistenza. In Calabria, da Nicola Morra ad altri non se ne parla nemmeno di intese con i dem, anche se questa e la Liguria sono le regioni dove il Pd potrebbe lasciare al M5s il candidato. In Campania c’è il problema di Vincenzo De Luca, insormontabile per Di Maio.
Detto questo, Conte non dispera e crede che in futuro si possa replicare l’esperimento valutando di volta in volta. Anche perché sa che è quello che vuole Beppe Grillo. Una tenaglia che non sfugge a Di Maio e di cui però non vuole rimanere vittima. Ecco spiegato il motivo di tanta fretta nel liquidare. «Non sono stato io a volere questa alleanza. Me lo hanno chiesto loro (Conte e Grillo, ndr). Io ci ho messo la faccia ma non ne posso pagare da solo le conseguenze».
Il capo politico aveva previsto l’orda di risentimento che si è scatenata contro di lui. Anche se totalmente Disarticolata. C’è chi come Gianluigi Paragone, Mario Michele Giarrusso e Barbara Lezzi chiedono assemblee e se la prendono contro i governisti Laura Castelli, Stefano Buffagni e Vincenzo Spadafora. Ma c’è anche chi è sempre stato un fedelissimo di Di Maio, come Sergio Battelli, ma non capisce perché buttare tutto via così di fretta. Molti la pensano come lui e danno sfogo alla propria frustrazione in chat. Di Maio tra i parlamentari è sempre più solo, distante. Buffagni gli chiede di allargare la squadra ma dice a Conte di fare sponda di più con il M5S, perché se sarà una risorsa dei grillini, lo deve fare apertamente. Puntuale, poi, è tornato a farsi sentire Grillo. Lo sanno tutti come la pensa, da Roberto Fico, che la vede come lui, in giù. «Si continua con il Pd» è il messaggio che fa arrivare a Di Maio. Prima con un tweet sui risultati umbri («pensavo peggio») che cancella subito dopo. Poi con la citazione della canzone dei Soundgarden Black hole sun. Nel testo c’è scritto: «Il tempo è andato per gli uomini onesti». Il buco nero è lì di fronte a Di Maio.

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