Fonte: Corriere della Sera
di Federico Fubini
L’accordo sul bilancio fra i governi europei e l’europarlamento è fresco di firma e ora Paolo Gentiloni vede la strada in discesa anche per Next Generation EU. «Ci sono le condizioni perché il lavoro proceda più o meno con il calendario previsto», dice il commissario Ue all’Economia.
I governi sono concentrati sulla pandemia. Questo può frenare i piani di rilancio?
«In questa fase, l’emergenza e la prospettiva si incrociano. Una difficoltà sia a Bruxelles che nei singoli Paesi viene non solo dal carattere inedito di Next Generation EU, ma anche dal fatto che non ci sarà uno spartiacque netto tra emergenza e rilancio. Non avremo una crisi a V, non torneremo di slancio alla situazione di prima. Secondo le nostre previsioni, alla fine del 2022 non tutti i Paesi saranno ai livello pre-Covid e nessuno al livello che avrebbe avuto senza la pandemia, in termini di Prodotto interno lordo».
Dunque i governi, Italia inclusa, devono rispondere all’emergenza e insieme pianificare il dopo?
«Purtroppo sì. Se fronteggiare l’emergenza assorbe tutte le energie, siamo nei guai. Sarebbe grave non impostare questa opportunità con lungimiranza e questo vale per Bruxelles tanto quanto per le capitali nazionali. Non ne farei una questione di calendario: per ora alla Commissione abbiamo ricevuto solo tre piani nazionali in forma compiuta e altrettanti in forma parziale».
Ci sono osservazioni sul Recovery Plan che rivolgerebbe ai vari Paesi, Italia inclusa, in questa fase?
«La prima è che il ruolo di garante della Commissione, se non ci fosse, andrebbe inventato. Se stiamo lavorando a creare dei binari per i progetti, non è per dare dei fastidi burocratici: per rendere le nostre economie più verdi, inclusive e digitali, questa occasione non vada sprecata. Ricordiamoci però che l’esecuzione si rivelerà almeno importante quanto la stesura dei piani: soprattutto per Paesi come Italia o Spagna che hanno una storia di assorbimento dei fondi europei tutt’altro che perfetta. Come si organizza dal punto di vista istituzionale l’esecuzione di un piano così cospicuo?».
Con procedure straordinarie?
«Noi le incoraggiamo. Naturalmente ogni Paese avrà le proprie soluzioni, ma se il varo di questi piani non si accompagna a qualche elemento straordinario di semplificazione dei processi decisionali, il rischio di un assorbimento insufficiente delle risorse è molto grave. Per come è congegnato Next Generation EU, il mancato rispetto di tempi e obiettivi del piano rende difficile l’erogazione delle risorse. Nel momento in cui si lancia il piano, si ha il dovere di riflettere alle innovazioni istituzionali o organizzative che possono renderlo eseguibile. A meno che non si voglia rinunciare a parte dei fondi. Ma noi non lo raccomandiamo. Abbiamo messo sul tavolo un bazooka, non va trasformato in un mezzo bazooka».
In sostanza niente «business as usual»?
«Non è business as usual. Si può pensare a una corsia preferenziale che richiede qualche limatura dei processi decisionali a livello legislativo. E bisogna che i piani siano realistici: qui nessuno deve vincere un premio di futurismo, servono progetti coerenti e realizzabili».
Ma in Italia se ne parla poco. Che impressione le fa tutta questa segretezza?
«Non c’è un’ora X in cui Enzo Amendola, il ministro che sta coordinando con grande impegno questo lavoro, ci manda un’email e quello diventa il piano dell’Italia. Lo scambio sarà costante. I Paesi che hanno già mandato i progetti hanno incontri settimanali con i nostri uffici. Il tempo c’è. L’importante è avere chiara la necessità di un coinvolgimento degli stakeholder, degli attori sociali e istituzionali coinvolti. È difficile immaginare che anche le semplificazioni necessarie funzionino, se non sono frutto di una convergenza fra le forze parlamentari e nel Paese».
L’impatto economico della seconda ondata del virus sarà duro come fu con la prima, o meno?
«Che la seconda ondata non si traduca in una “double dip recession”, una recessione con una doppia caduta dell’attività, è ancora possibile. Ma non garantito. È possibile perché abbiamo attrezzature sanitarie e una preparazione delle imprese, nella manifattura e nei servizi, che consentono di tenere aperta una parte dell’economia più ampia che in primavera. L’orizzonte dei vaccini per il 2021 è reale. Ma possiamo evitare una doppia recessione solo se le misure di confinamento inizieranno a produrre risultati sulla curva epidemica. E questo non è ancora evidente».
Spesa in deficit e sostegno della Bce hanno permesso un rimbalzo estivo dell’economia. Sono da proseguire?
«Le regole di bilancio sono sospese almeno per tutto il 2021 e fino a quando perdura questa caduta eccezionale del prodotto. Le nostre previsioni dicono che potremmo non tornare ai livelli pre-Covid prima di fine 2022. Serve tutto il sostegno necessario, per tutto il tempo necessario. Il che vuol dire anche pensare al futuro, non dimenticare la sostenibilità del debito a medio termine, non immaginare che una crisi prolungata non possa avere rischi anche per i crediti deteriorati del settore bancario».
Vuole dire che c’è un limite al deficit che si può fare?
«La Commissione non solo tollera, ma incoraggia spese straordinarie per far fronte all’emergenza. Ma invita a una grande cautela nell’evitare che queste ulteriori spese siano non necessarie e soprattutto diventino permanenti. Lo stesso vale per quella che qualcuno ha chiamato la mano visibile dello Stato. Non deve trasformarsi in un’illusione di autosufficienza. Abbiamo una strategia industriale europea. Il fatto che la Commissione oggi sia flessibile sugli aiuti di Stato non deve alimentare piccoli statalismi senza prospettiva. L’intervento pubblico a volte è necessario, ma non può diventare un’ipoteca sul futuro».
La minaccia del trumpismo ha spinto noi europei a responsabilizzarci. Il Recovery Fund nasce anche da questo clima. Con Joe Biden torneremo ad adagiarci?
«Non direi che Donald Trump in quanto tale sia stato il coagulante. Ci sono state Brexit, la crisi migratoria, la pandemia. Non credo che l’Europa avrebbe preso in mano le decisioni in modo così risoluto altrimenti. Biden del resto non sposterà l’attenzione degli Stati Uniti, che è sulla Cina. Ma darà grande discontinuità sul Covid e sul clima, rientrando negli accordi di Parigi. Per l’Europa si aprono spazi, non si chiudono».
Anti-lockdown e negazionismo saranno la nuova benzina del populismo?
«Non sottovaluto questa piaga, ma la partita dei no mask non sarà mai maggioritaria. Avendo perso il suo leader di riferimento, Trump, il nazionalismo populista ha subito una sconfitta notevole».