Una Germania politicamente di nuovo stabile produrrebbe delle conseguenze importanti in Europa, offrendo una leadership e una bussola
È ormai diventato quasi luogo comune, non senza malcelato e stolto compiacimento soprattutto in Italia, additare la Germania come il «grande malato d’Europa». Al suo secondo anno in recessione, la Repubblica Federale è in verità afflitta da gravi problemi strutturali, come bassa produttività, alti costi dell’energia e del lavoro, calo demografico e scarsezza di investimenti determinata da un assurdo limite costituzionale al debito, la Schuldenbremse.
Più in generale, è l’intero modello economico tedesco a essere in crisi esistenziale, conseguenza dell’aggressione russa in Ucraina e della fine del gas a basso costo che per anni aveva nutrito una crescita trainata dalle esportazioni, soprattutto verso la Cina.
Ma come quelle sulla morte di Mark Twain, anche le notizie sulla patologia tedesca sono esagerate. È vero, la Germania, e con lei l’Europa, hanno sprecato tre anni sotto la guida di Olaf Scholz, un cancelliere senza qualità, che dopo aver fatto ben sperare con il famoso discorso sulla Zeitwende, la svolta epocale, ha cercato di salvare quel che restava di un modello insostenibile piuttosto che reinventarlo. Privo di carisma e incapace di leadership, che pure prometteva di dare, Scholz ha reso ingovernabile una coalizione già disfunzionale per sé, la prima del Dopoguerra composta da tre partiti. Col risultato di indebolire, fino a renderla inaudibile, la voce della Germania in Europa, in uno strano gioco di specchi con la Francia, l’altra grande potenza anch’essa paralizzata da un presidente brillante ma velleitario e avventurista e ora da un governo senza maggioranza.
Eppure, c’è luce in fondo al tunnel della notte tedesca. Il 16 dicembre Olaf Scholz affronterà al Bundestag un voto di fiducia dall’esito negativo scontato, precipitando la definitiva caduta del suo governo, già monco dei liberali della Fdp che hanno innescato la crisi. Ed è ormai sicuro che il 23 febbraio prossimo la Germania andrà a elezioni anticipate, sette mesi prima della scadenza naturale della legislatura. È una buona notizia. Perché almeno sulla carta, a differenza della Francia, non si tratta di un salto nel buio. A meno di sorprese sempre possibili naturalmente, la Cdu di Friedrich Merz è infatti favorita per raccogliere un successo che i sondaggi, i media e financo lo Zeitgeist le predicono.
Se così fosse, la Germania tornerebbe a una stabilità politica, che è sempre stata la sua cifra e che le ha permesso di essere riferimento per l’intera Europa. Un cancelliere Merz naturalmente è tutto da sperimentare. In questi tre anni alla guida del partito, ha riposizionato la Cdu su linee più conservatrici e fedeli alla tradizione dei padri fondatori cristiano-democratici renani, da Adenauer a Kohl rovesciando la postura centrista e progressista che le aveva dato Angela Merkel. Ma ne ha anche riconfermato in toto l’ispirazione europeista, che era stata del suo maestro e mentore Wolfgang Schäuble, impegnandosi a rafforzare l’Unione lavorando per il bene comune. Di più, pur mantenendo un atteggiamento di fondo rigorista sul piano economico, ha segnalato di recente una disponibilità a ridiscutere il totem della Schuldenbremse, considerato da molti un freno anacronistico al rilancio della Germania.
Che poi lo faccia veramente è un’altra storia.Molto dipenderà dall’alleato con cui governerà. Allo stato dei fatti questo sembra destinato a essere proprio la Spd, che, probabilmente ancora guidata da Scholz, cercherà un improbabile recupero puntando tutto sul tradizionale tema della pace, corda profonda della sensibilità tedesca: la telefonata del cancelliere a Putin, giovedì scorso, è stata soprattutto il primo atto della imminente campagna elettorale.
Una Germania politicamente di nuovo stabile produrrebbe delle conseguenze importanti in Europa, offrendo una leadership e una bussola. Ma per quanto ci riguarda aprirebbe un’opportunità al governo di Giorgia Meloni. Assente la Francia, la cui crisi non appare in via di facile e veloce soluzione, potrebbe infatti essere proprio l’Italia ad affiancare la Germania per trainare un rilancio europeo non più rinviabile, lungo le linee-guida messe nero su bianco da Mario Draghi ed Enrico Letta nei loro rapporti. La maggiore sintonia conservatrice tra Meloni e Merz potrebbe produrre la chimica necessaria. Succederà? Saprebbe la premier italiana cogliere questa chance? Probabilmente, siamo piuttosto in una dimensione onirica. Ma a pensarci bene, è proprio di questa materia che da sempre è fatta la costruzione europea.