La scoperta di un ecosistema sotto le calotte polari solleva importanti domande sulle emissioni di gas climalteranti
E’ stata a lungo relegata nella parte più scomoda e alta delle carte geografiche, considerata come una vasta coperta di ghiaccio uniforme e, tutto sommato, anche noiosa. I tempi però cambiano e ora tutti gli occhi sono puntati sulla Groenlandia.
Ecosistema scoperto da un decennio
La sua superficie è ben osservabile dai satelliti, ma negli ultimi anni la scienza sta esplorando un ecosistema scoperto da poco più di un decennio. È un habitat unico che ha un impatto, ancora da chiarire, sulle emissioni globali di gas climalteranti. Le calotte glaciali influenzano il ciclo del carbonio e il rilascio di nutrienti che a loro volta influenzano processi biogeochimici terrestri. Tutto ciò fa degli ambienti subglaciali, tra i meno accessibili della Terra, una delle ultime frontiere della ricerca glaciologica e in microbiologia.
Habitat estremo
Cosa viva in questi habitat celati sotto centinaia di metri di ghiaccio è da chiarire. Tracce di metano e CO2 sotto la calotta sono state trovate fin dalle prime perforazioni. Ma si pensa che fosse qualcosa di antico rimasto intrappolato sotto il ghiaccio mentre questo si formava. Più recentemente sono stati trovati i laghi subglaciali in Antartide, con evidenze di attività microbica. Ma l’idea era che si trattasse di ambienti circoscritti, e non che l’intera interfaccia tra ghiaccio e roccia potesse essere considerato un ecosistema.
Inattesa scoperta di microbi attivi
Nessuno, prima degli anni 2000, avrebbe sospettato che sotto le calotte potesse esserci un habitat adattato a condizioni estreme. «All’infuori dei laghi subglaciali non ci si aspettava microbi attivi. Leggendo i documenti dei primi carotaggi degli anni ’90, alla costatazione di presenza di metano, la reazione era: “Probabilmente abbiamo trivellato in una antica palude sepolta dal ghiaccio, tutto qui”. Poi abbiamo capito che sotto il ghiaccio ci sono interi ecosistemi microbici», spiega Guillaume Lamarche-Gagnon, microbiologo al Centre for Ice, Cryosphere, Carbon and Climate (iC3), di Tromso,in Norvegia.
Quali conseguenze sul clima?
Lo stesso International Panel for Climate Change (Ipcc) finora ha sottovalutato gli ambienti subglaciali negli scenari di emissione globale. «Nell’Ipcc si dà risalto ai cambiamenti fisici delle calotte glaciali. Per esempio l’influsso dello scioglimento delle calotte sull’innalzamento del livello del mare, e ciò è estremamente importante. Ma ci sono anche i cambiamenti biogeochimici, e questo non è ancora incluso nei modelli usati dall’Ipcc», spiega Monica Winslow anche lei dell’iC3.
I cicli biogeochimici sono processi naturali, ormai anche alterati dalle attività umane, attraverso cui gli elementi come carbonio, azoto, ossigeno si spostano tra gli esseri viventi (bio), la terra e l’acqua (geo) e l’atmosfera. Questi cicli permettono il riciclo delle sostanze necessarie alla vita sulla Terra.
Come raggiungere l’ecosistema rimane un ostacolo per la scienza. Attualmente gli scienziati osservano questo ambiente attraverso i fiumi proglaciali, unici portali di accesso a questo mondo. Nei corsi d’acqua ai margini delle calotte si trovano «chiari segni di attività microbica basati su prove isotopiche e composti disciolti nell’acqua», spiega Lamarche-Gagnon. Del resto c’è tutto ciò che serve: acqua, materia organica fossile intrappolata sotto il ghiaccio, e minerali preziosi per la vita microbica.
L’estate scorsa, un gruppo di ricercatori della Charles University di Praga (Repubblica Ceca) ha prelevato un campione di sedimenti all’interno della calotta. Le aspettative di poter finalmente descrivere le specie viventi sotto centinaia di metri di ghiaccio sono molte. «Abbiamo raggiunto la roccia tre volte durante questa stagione, ma solo nell’ultima trivellazione abbiamo recuperato sedimenti in quantità sufficiente per le analisi. È un grande risultato per il nostro progetto, ma dimostra bene i rischi che comporta questo ramo della ricerca», dice Jakub Zarsky, glaciologo. I costi, il difficile accesso, rendono le ricerche molto complesse.
Quale influenza sul ciclo del carbonio?
Per spostare la frontiera più avanti servirebbe chiarire «i potenziali legami tra il cambiamento delle calotte glaciali e il ciclo del carbonio, e includerli nelle valutazioni dell’Ipcc», confida Winslow. «Il motivo principale per cui sono stati esclusi è che c’è un’incertezza troppo grande». Ovvero non sappiamo ancora quasi nulla di questo ecosistema, di quali specie microbiche si tratti, della sua massa, della sua estensione, e di eventuali ciclicità. O delle loro emissioni, che potrebbero essere ininfluenti. O forse no. «Non conosciamo l’ordine di grandezza dei cambiamenti che il ritiro delle calotte glaciali potrebbe avere su questo ecosistema, e da qui sul ciclo del carbonio globale», conclude. La scoperta di un nuovo ecosistema è già molto, comprenderne l’essenza, come si comporti, e come si comporterà in un ambiente via via meno glaciale e più liquido, rimane una incognita. E poi ci sarà da trasferire tutto ciò all’altra calotta polare, ancora più grande ed elusiva, in Antartide.