21 Novembre 2024
Giappone

Giappone

L’insediamento del neo-Governatore della Bank of Japan (BoJ) Ueda Kazuo completa il rinnovamento della classe dirigente avviata nell’autunno del 2021 dal Primo Ministro Fumio Kishida per realizzare il “neo-capitalismo”, cioè il nuovo corso di politica economica che attende il Giappone dopo la “Abenomics”.
Prima di entrare nel merito dei tratti distintivi del neo-capitalismo è utile riepilogare l’eredità di Shinzo Abe che ha governato il “sol levante” ininterrottamente per 8 anni dal 2012 al 2020.
Secondo una classifica OCSE il Giappone presenta un basso livello di produttività del lavoro, su 38 Paesi è al ventisettesimo posto, ultimo tra i Paesi del G7. Un dato che riflette la scarsa flessibilità del mercato del lavoro e la propensione per i lavori a tempo indeterminato nelle grandi multinazionali.
Questa attitudine dei giapponesi è certamente collegata ad un altro record nipponico e cioè quello di essere il Paese con la popolazione più anziana del mondo: gli over 75 sfiorano il 20% della popolazione.
Nonostante questa demografica ritrosia al cambiamento ed all’innovazione, il Paese resta in graduatoria il terzo al mondo per brevetti e il secondo per numero di ricercatori; aspetti che certamente contribuiscono a fare del Giappone la terza economia mondiale.
Il debito pubblico presenta la ragguardevole dimensione di 2,6 volte il prodotto interno lordo ma è tenuto a bada da un possesso sostanzialmente nazionale tra Banca Centrale (quasi il 50%) e sistema finanziario allargato unitamente a tassi zero che governano la sostenibilità nel tempo dei costi di finanziamento.
Questo risultato è l’epilogo di una politica monetaria straordinariamente innovativa cominciata nel 2013 con il Quantitative and Qualitative Easing (QQE) ed il controllo della curva dei tassi di interesse (Yield Curve Control) funzionale a tenere sottozero i tassi a breve e a zero quelli a lungo.
L’inflazione oscilla tra il 3% e il 4% – ben lontani dai livelli europei e statunitensi che hanno lambito le due cifre – ed escludendo cibo ed energia non si è lontani dal target del 2% che la Bank of Japan conta comunque di raggiungere già quest’anno. La scarsa dipendenza dal grano (dato che in Giappone si consuma prevalentemente riso) è tra le determinanti di questi differenti andamenti dato che l’economia del “Sol Levante“ è stata sterilizzata dalle fiammate inflattive alimentare che hanno colpito tanto gli Stati Uniti che l’Europa.
Secondo un recente report della Banca centrale l’economia è già tornata ai livelli pre-pandemici con prospettive di crescita sopra l’1% nei prossimi anni; il sentiment dell’imprenditoria è però meno positivo come mostra la discesa dell’indice Tankan e si aspetta un cambio di rotta dal nuovo tandem Kishida-Kazuo.
Il cambio di rotta pare tratteggiato nella legge sulla sicurezza nazionale del maggio 2022 che delinea il neocapitalismo. Dall’esame del provvedimento e delle conseguenti azioni emerge la prosecuzione del rafforzamento militare nipponico in coordinamento con Washington ed in chiave anti-asiatica e un insieme di azioni a supporto della strategia di decoupling dalla Cina; il Consiglio di Sicurezza Nazionale viene infatti incaricato dell’arduo compito di “sganciare” l’economia giapponese da quella cinese, nonostante il dragone, oggi, sia il primo partner commerciale del “sol levante” nonché importante fornitore di beni intermedi e strumentali. La parola d’ordine che emerge nitidamente da questi provvedimenti è quindi “reshoring”, cioè rimpatrio delle catene del valore del sistema produttivo giapponese; non a caso nell’accompagnare il provvedimento normativo il Primo Ministro Fumio Kishida ha dichiarato: “prenderò misure per assicurarci il possesso di tecnologie e approvvigionamenti strategici, per impedire che le tecnologie fuoriescano dal paese e per creare una economia che si auto-sostiene”.
Questa nuova regolazione copre tutti i settori strategici (i.e.: energia, trasporti, infrastrutture, risorse idriche, cybersecurity e finanza) e mira a spingere la creazione di startup con l’ambizioso target di 100 unicorni (i.e.: imprese che raggiungono una valutazione di un miliardo di dollari senza essere quotate in una borsa valori) per riportare l’innovazione al centro dell’agenda del Paese con un focus su transizione digitale e “verde” finanziato con 75 miliardi di dollari in 5 anni ed un pacchetto di esenzioni fiscali.
In questa prospettiva si legge il recente accordo con il colosso Taiwanese dei microchip Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) per la costruzione di uno stabilimento produttivo nella provincia di Tokyo con la Sony.
Non solo. Per questo target su sollecitazione della Keidanren, (i.e. la Confindustria nipponica) si potrebbe anche essere disposti a superare l’anacronistica chiusura delle frontiere che sta creando non pochi grattacapo all’imprenditoria giapponese alla ricerca di manodopera.
In coerenza con questa spinta autarchica molti segnali stanno anche giungendo sul fronte della possibile rinascita del nucleare sulle ceneri di Fukushima che ha messo off-line il 70% della capacità produttiva nazionale di energia.
Va da sé che una strategia di reshoring ha vita breve senza forza lavoro e visto l’invecchiamento della popolazione il Governo ha varato un altro pacchetto da circa 100 miliardi di dollari per fornire sostegno diretto alle famiglie con figli a carico e per incentivare lo spostamento nelle aree rurali dove c’è un forte declino della popolazione.
Così come avrebbe vita breve se si avviassero repentini rialzi dei tassi di interesse da parte della Banca centrale che andrebbero a mettere in discussione la sostenibilità del debito pubblico e la stabilità del sistema finanziario. Ma su questo il neo-Governatore Kazuo ha tranquillizzato dichiarando che “La Banca continuerà con il QQE e il YCC […], a mantenere la stabilità del finanziamento, soprattutto delle imprese, e dei mercati finanziari, e non esiterà ad adottare ulteriori misure di allentamento se necessario”; relativamente all’inflazione si è spinto anche oltre – forse per evitare equivoci – chiarendo che “i fattori di spinta [sono] originati dall’estero [e non] da un eccesso di domanda” come a dire che non è rialzando i tassi che si riporta l’inflazione al 2%. Ciò non di meno, giovedì scorso Kazuo ha ricordato alle imprese giapponesi che le loro recenti scelte in tema di (aumenti dei) salari e prezzi potrebbero aumentare il rischio di errori nelle scelte di politica monetaria della BoJ e, soprattutto di previsioni errate in termini di inflazione, circostanza che potrebbe portare ad “anticipare” il controllo della curva dei tassi dal riferimento temporale dei 10 anni a quello dei 5.
Il neocapitalismo si presenta quindi come un nuovo corso di politica economica per il Giappone; a ben vedere però può essere interpretato come la naturale reazione ad una serie di dinamiche economiche finanziarie ben descritte dall’evoluzione temporale delle statistiche riportate nella bilancia dei pagamenti.
L’esame del Conto Corrente (cioè di quella sezione della Bilancia dei Pagamenti che descrive le transazioni dell’economia reale) mostra lungo i decenni infatti uno strutturale surplus (Figura 1); si tratta di un risultato di rilievo che è riuscito a caratterizzare l’investimento in titoli nipponici con l’attributo finanziario di “porto sicuro” (i.e.: safe haven) ogni qualvolta si sono manifestate turbolenze finanziarie; un riscontro evidente di questa caratterizzazione emerge dagli afflussi di liquidità in attività finanziarie giapponesi registrate dal Conto Finanziario nella voce “Investimenti di portafoglio” (Figura 2).
La scomposizione del surplus di Conto Corrente mostra tuttavia come siano profondamente cambiate le sue determinanti negli anni in coerenza con le dinamiche demografiche giapponesi e la strategia di globalizzazione. Se fino a inizio anni ’90 erano le merci a determinare i risultati positivi del conto corrente oggi lo sono i “redditi primari” e cioè le reddittività provenienti dalla delocalizzazione degli impianti e delle catene di approvvigionamento e più in generale da investimenti finanziari all’estero.
Questo nuovo corso emerge plasticamente dalla Figura 3, laddove sono infatti i redditi da capitale derivanti da investimenti diretti (istogrammi arancione) e finanziari (istogrammi blu) a guidare il dato dei redditi primari mentre è ancora marginale l’investimento imprenditoriale sul suolo giapponese (istogrammi gialli).
In particolare, la dinamica dei redditi da investimenti diretti è la risultante di una continuativa strategia di acquisizione e di delocalizzazione di imprese all’estero che viene registrata nel conto finanziario (Figura 2 – voce “Investimenti diretti”).
L’andamento stabile dei redditi da investimenti di portafoglio riflette invece gli effetti della strategia della Bank of Japan dei tassi a zero e di deprezzamento dello yen (Figura 4) che hanno comportato cospicui investimenti in attività finanziarie estere (Figura 2 – voce “Investimenti di portafoglio”) garantendo comunque salvo al momento il ruolo di safe haven per gli investimenti finanziari in Giappone.
Sul fronte della bilancia commerciale oltre a rilevare la dipendenza energetica dal Medio Oriente (con saldo in fase di stabilizzazione dopo la crisi energetica) il dato che maggiormente mina la strategia di decoupling dalla Cina è l’incremento del deficit verso l’economia del dragone parzialmente compensato da uno spostamento verso l’Australia (Figura 5).
Dall’esame della decomposizione del saldo di conto corrente emergono due ulteriori dati interessanti nella voce dei “servizi”: una rinata passione turistica globale per visitare il Giappone (interrotta solo dalla pandemia) ed una strutturale delocalizzazione all’estero della ricerca e sviluppo, dei supporti legali e di consulenza direzionale, strategica, pubblicitaria, informatica, ingegneristica e di telecomunicazione. Quest’ultimo aspetto costituisce certamente un grattacapo per il Primo Ministro dato che non contribuisce al disegno di “impedire che le tecnologie fuoriescano dal paese e [di] creare una economia che si auto-sostiene”.
È in questo quadro economico-finanziario che va quindi letto l’ambizioso obiettivo del neocapitalismo: invertire un trend che – per gestire problemi interni tra cui quello demografico – ha portato a globalizzare le catene di approvvigionamento e più in generale del valore della produzione nipponica, delocalizzando capitale fisico ed umano. Un passato comunque glorioso che ha contribuito a fare del Giappone la terza economia mondiale ma che ora si trova a fare i conti con l’esigenza di decoupling dalla Cina e di ridurre la volatilità dell’andamento del Conto Corrente (che il periodo pandemico ha messo in luce) e che rischia tra l’altro di minare il ruolo di safe haven degli investimenti finanziari esteri in Giappone.
Una sfida che ha come possibile contraltare il rischio di una stagnazione se non di una recessione economica con conseguenze sociali difficilmente prevedibili. Staremo a vedere.

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