Fonte: Corriere della Sera
di Giovanni Bianconi
Si sta delineando un intreccio di interessi privati e schieramenti trasversali che per motivi vari doveva porre fine a un’epoca e aprirne un’altra nella gestione dell’ufficio giudiziario più importante d’Italia, la Procura di Roma, secondo i piani di un “gruppo misto” di magistrati e deputati
Lo sfregio a un’istituzione di rango costituzionale come il Consiglio superiore della magistratura potrà forse essere coperto con le dimissioni degli ultimi consiglieri che ancora non si sono rassegnati ad abbandonare l’incarico dopo essere stati sorpresi da una microspia a trattare le nomine degli uffici giudiziari, nottetempo, in un albergo romano con altri magistrati e parlamentari che nulla avrebbero dovuto avere a che fare con quelle scelte. Anzi, prima si arriverà all’avvicendamento di tutte le persone coinvolte nel cosiddetto «mercato delle toghe», prima si potrà porre fine al discredito che sta investendo l’organo di autogoverno dei giudici presieduto dal capo dello Stato. Il quale non a caso ha già indetto le elezioni suppletive dei due consiglieri-pm che hanno rimesso il mandato, considerandole il «primo passo per voltare pagina» e restituire «fiducia e prestigio» incrinate agli occhi dei cittadini. Ma le vicende di questi giorni vanno oltre l’imbarazzo generale e i destini dei singoli consiglieri finiti sotto procedimento penale o disciplinare, che continuano a rivendicare la propria correttezza e si difenderanno come meglio riterranno davanti alle autorità competenti.
Perché svelano cattive pratiche e problemi di fondo che non sembrano destinati a risolversi con l’uscita di scena dei presunti responsabili. Non siamo più alla “degenerazione del correntismo” e alle spartizioni delle cariche. Le trame venute alla luce vanno oltre le vecchie divisioni culturali o ideologiche all’interno della magistratura; non siamo più alle contrapposizioni tra gruppi, che per quanto criticabili e troppo simili alle logiche della politica avevano almeno il pregio della chiarezza. Qui si sta delineando un intreccio di interessi privati e schieramenti trasversali che per motivi vari doveva porre fine a un’epoca e aprirne un’altra nella gestione dell’ufficio giudiziario più importante d’Italia, la Procura di Roma, secondo i piani di un “gruppo misto” di magistrati e deputati. Non c’entrano le correnti, c’entra semmai la loro debolezza; oggi contano più le persone e certe affinità legate a singoli obiettivi a cui i gruppi organizzati si sarebbero dovuti piegare, che i vecchi schemi rigidi e predefiniti. Un’evoluzione (o involuzione) che s’è già verificata nei partiti, smascherando difficoltà e debolezze nella selezione della cosiddetta classe dirigente e evidenziando un problema che ora si ripropone per la magistratura; in particolare quando deve scegliere quel ristretto numero di rappresentanti chiamato a governare e decidere, attraverso l’organo di autogoverno, le sorti di tutti gli altri. A partire da nomine e avanzamenti in carriera.
La collusione con la politica stavolta ha preso le forme di un accordo tra esponenti delle correnti di destra e di centro dei giudici da un lato e del Partito democratico dall’altro, cioè la sinistra parlamentare. Uno dei quali, Luca Lotti – imputato proprio per iniziativa della Procura di Roma –, è stato colto dalla microspia mentre intimava di voler mandare “un messaggio forte” al vice-presidente del Csm David Ermini, suo ex collega alla Camera, considerato poco accomodante rispetto alle esigenze di chi lo aveva scelto al momento dell’elezione e forse per questo pretendeva atteggiamenti diversi. Una commistione che avrà pure dei precedenti, ma che una volta smascherata risulta intollerabile. Quasi indecente. Le difese d’ufficio ascoltate nei giorni scorsi – non c’è da scandalizzarsi, s’è sempre fatto così, se si spiasse ciascun consigliere chissà che ne verrebbe fuori – sono inaccettabili. La scoperta di una trama, che peraltro ne sottintende altre, non può essere archiviata invocando un’assoluzione generale, come fosse una “normale” pratica di malcostume politico-giudiziario, talmente diffusa che scandalizzarsene sarebbe ipocrita. Ipocrita sarebbe piuttosto continuare fare finta di niente, da parte della magistratura come della politica. La prima chiamata a sanzionare i comportamenti gravemente scorretti delle toghe, e sviluppare anticorpi al proprio interno affinché non si ripetano; la seconda a trovare rimedi che non servano ad alimentare il condizionamento del potere giudiziario. Per salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione, ma anche gli organismi preposti alla tutela di quei principi. Il Csm e prima ancora il Quirinale, che qualcuno ha tentato di coinvolgere in questa brutta storia forse per sviare l’attenzione da ciò che è emerso e potrà emergere. O per provare a occultare singole responsabilità nel discredito collettivo. Non si può. Non lo meritano le istituzioni, non lo meritano i cittadini che da esse devono continuare a sentirsi rappresentati e garantiti.