Lo scambio tra il premierato voluto da Palazzo Chigi e l’autonomia rivendicata dalla Lega in teoria non dovrebbe creare problemi. Ma in realtà rischiano di entrare in collisione, perché riflettono due culture politiche agli antipodi
Pudicamente, si parla di «riformulazione». E lo stesso ministro leghista Roberto Calderoli, «padre» dell’autonomia differenziata delle Regioni, si dice pronto a accogliere modifiche. Ma il recente altolà del vertice del Carroccio agli alleati fa capire che il tema rimane in sospeso. Il timore che la riforma cristallizzi le divisioni del Paese e regali alle opposizioni un argomento forte in campagna elettorale è palpabile. Non a caso FdI, partito di Giorgia Meloni, fa sapere a Matteo Salvini che «i paletti politici restano». Sarà uno degli argomenti di maggiore frizione nella maggioranza di destra di qui alle Europee del 2024.
Lo scambio tra il premierato voluto da Palazzo Chigi e l’autonomia rivendicata dalla Lega in teoria non dovrebbe creare problemi. La tesi ufficiale è che le due cose si tengono. Nella realtà, tuttavia, rischiano di entrare in collisione, perché riflettono due culture politiche agli antipodi. E pochi scommettono che saranno approvate entrambe. Potrebbero diventare «bandiere» elettorali contrapposte, che opposizioni deboli sono pronte a additare come simboli di una coalizione insieme «nordista» e divisa al proprio interno. D’altronde, le tensioni spaziano dalle questioni istituzionali a quelle giudiziarie. E, di nuovo, ripropongono la competizione strisciante a destra tra FdI e Lega. Lo smarcamento di Salvini dalla sorte del ministro del Turismo, Daniela Santanché, della quale gli avversari chiedono le dimissioni, lascia presagire passaggi non proprio indolori. Ieri Santanché ha ribadito che non farà nessun passo indietro.
«Non capisco per quale motivo dovrei farlo. Non ho ancora ricevuto un avviso di garanzia. Alcuni giornali scrivono grandi bugie», ha aggiunto annunciando querele. D’altronde, la premier finora ha deciso di difenderla nonostante i contorni almeno ambigui delle sue vicende imprenditoriali. Ma l’atteggiamento leghista non garantisce certamente il ministro, soprattutto se si registrassero sviluppi nell’inchiesta giudiziaria. «Nessuno è in imbarazzo», assicura il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, leader di FI. «Ci affidiamo alla magistratura e abbiamo fiducia». Sullo sfondo, oltre a quello di Daniela Santanché, rimangono anche i casi del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, e del presidente del Senato, Ignazio La Russa, a causa delle accuse per stupro a uno dei suoi figli. È una situazione delicata e incerta, destinata a incrociare i percorsi di governo e magistratura; e resa più tesa dalle resistenze del potere giudiziario alle ipotesi di riforma del Guardasigilli, Carlo Nordio. Il tentativo di Palazzo Chigi di abbassare il più possibile la conflittualità è evidente. Ma sono evidenti anche le difficoltà e gli ostacoli.