22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

Le accuse ai ministri M5S, colpevoli agli occhi dell’ala estremista di avere votato a favore della riforma, non si fermano. Conte ammette che «alcuni toni gridati hanno consentito ad altri di schiacciare l’immagine del Movimento su un terreno forcaiolo». Ma non si capisce se il neo leader li tema, non controllandoli, o li usi

Tre giorni dopo il colloquio tra il premier Mario Draghi e il capo virtuale del M5S, Giuseppe Conte, non si può dire che la posizione grillina sulla giustizia sia più chiara. Le accuse ai ministri del Movimento, colpevoli agli occhi dell’ala estremista di avere votato a favore della riforma, non si fermano. Conte ammette che «alcuni toni gridati hanno consentito ad altri di schiacciare l’immagine del Movimento su un terreno forcaiolo». Allude a chi cerca di seppellire il testo della Guardasigilli, Marta Cartabia, con emendamenti e attacchi. Ma non sono pochi, e non si capisce se Conte li tema, non controllandoli, o li usi. Il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, se la prende con la «schizofrenia» dei ministri Cinque Stelle. E quello della Camera, Roberto Fico, si schiera col suo Movimento. Fa sapere di «preferire la normalità» a un’eventuale fiducia; e di «auspicare un accordo». Augurio meritorio, che deve fare i conti sia con le fiducie collezionate dagli esecutivi a guida grillina; sia con modifiche dal sapore ostruzionistico.
Di rimbalzo, a Palazzo Chigi si rafforza l’idea di chiudere una diatriba strumentale e interna alle faide grilline, ricorrendo alla fiducia. Prudente, il segretario del Pd, Enrico Letta, dice che toccherà al governo decidere. E rimandando alle ricostruzioni positive del colloquio di lunedì tra il premier e Conte, Letta vede «un ultimo miglio» da percorrere. E si augura che «prima della pausa estiva» arrivi l’approvazione «con gli aggiustamenti necessari». Ma il problema riguarda proprio la valutazione di quali lo siano. Nella maggioranza le posizioni sono agli antipodi; e sembrano tali dentro lo stesso Movimento. È questo a spiegare la confusione e l’incertezza che si scaricano sulla riforma. Rischiano di costringere Draghi a una decisione comunque frustrante per i partiti che lo sostengono; e in primo luogo per i Cinque Stelle. Si indovina la volontà di tentare un’ultima mediazione, senza però perdere settimane preziose.
Prima di ricorrere alla fiducia, Palazzo Chigi vuole che sia chiaro lo sforzo di fare il possibile per evitare una contrapposizione con la forza di maggioranza relativa. Anche perché sullo sfondo emerge una filiera di magistrati che mettono in fila riserve e critiche discutibili nei confronti della riforma: una sponda che alimenta l’offensiva dei giustizialisti del M5S. Il tempo stringe, e la Commissione europea, che sta facendo arrivare i primi aiuti, vuole capire se l’Italia è in grado di dare seguito agli impegni presi. «Chi rallenta le riforme», avverte il capo della Lega, Matteo Salvini, «non fa un torto a Draghi e Cartabia ma fa male al Paese». E confida che il referendum suo e dei radicali contribuisca ad accelerare il «sì».

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