Fonte: La Stampa
di Francecso Grignetti
Impossibile trovare una posizione comune
Se c’è un argomento che scatena davvero le passioni dentro la magistratura italiana, queste sono le elezioni al Csm. Il Consiglio superiore, organo di autogoverno delle toghe, là dove si decidono le carriere e si celebra la giustizia disciplinare, come ha raccontato lo scandalo Palamara, è il cuore del potere giudiziario. Ora, è in avvicinamento una riforma del Csm che a breve sarà licenziata dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia. La riforma cambierà anche il sistema elettorale per approdare al Csm. E qui, al momento di trovare unità e proporre una loro ipotesi alla politica, ieri i magistrati dell’Anm si sono spaccati ferocemente.
Le famose correnti si sono confrontate. Di fatto si sono creati due schieramenti, pro o contro l’ipotesi su cui più lavora il governo (quella suggerita dal comitato di saggi presieduto dal costituzionalista Massimo Luciani). Da una parte, favorevoli, i centristi di Unicost e i progressisti di Area. Dall’altra, i conservatori di Magistratura indipendente, del gruppo Autonomia&Indipendenza che un tempo si rifaceva a Piercamillo Davigo, dei combattivi Articolo 101. Ma i due schieramenti alla fine si sono affondati a vicenda.
Quelli di Articolo 101 in verità preferirebbero il sorteggio a qualsiasi elezione, perché convinti che non c’è altro modo per scardinare la presa delle correnti sugli appartenenti alla magistratura italiana, e magari perché sono gli ultimi arrivati e contano su piccoli numeri. Ma questa idea del sorteggio, che in Parlamento piace assai a tutto il centrodestra, e forse anche a qualcuno di centro e di centrosinistra, in magistratura è considerata un’eresia.
Fatto sta che il meccanismo della commissione Luciani (il cosiddetto voto singolo trasferibile) ha diviso verticalmente i magistrati. E la proposta di uscire dall’impasse con un referendum interno, avanzata anche questa da Articolo 101 e da A&I, è stata bocciata da tutti gli altri.
Risultato: impasse assoluta. L’Anm ne dovrà parlare in un’altra occasione. Anche se il tempo corre, perché il governo si esprimerà nelle prossime settimane e a gennaio il tema sarà in votazione in Parlamento.