Fonte: Corriere della Sera
di Enrico Marro
Tensioni politiche ed economiche senza precedenti inducono anche gli ottimisti per natura ad avere qualche timore sul futuro della casa comune europea. Anche su questo, soprattutto su questo, il presidente Conte dovrebbe dire una parola chiara
Ancora ieri il vicepremier, Luigi Di Maio, ha definito «pastoie burocratiche» e «bollini da mettere» quella che è una procedura tecnica di controllo delle coperture finanziarie dei provvedimenti prima che vadano sulla Gazzetta Ufficiale. Coperture, è appena il caso di ricordarlo, previste dall’articolo 81 della Costituzione. Il leader del Movimento 5 Stelle ha preferito così rilanciare queste accuse generiche anziché riconoscere che il consiglio dei ministri, il 2 luglio, cioè undici giorni fa, ha approvato il decreto «dignità» senza le necessarie norme di finanziamento dei minori introiti(Iva sui giochi e split payment), che ammontano a qualche centinaio di milioni l’anno. Un pasticcio di cui non sono certo colpevoli né la Ragioneria generale dello Stato né il Quirinale, che hanno solo fatto il loro dovere. Liquidare l’incidente come un dettaglio da burocrati, appunto, sarebbe un errore, perché o il governo spiega come eventualmente bypassare i «bollini da mettere» senza far prendere all’Italia derive greche o argentine oppure dovrà prepararsi a fronteggiare ben più serie «pastoie burocratiche» con la prossima legge di Bilancio, visto che al momento risultano confermati gli ambiziosi programmi di spesa, senza che nessuna garanzia sia stata fornita sulle coperture. Nonostante la campagna elettorale sia finita (o forse no, se il nuovo traguardo è quello delle elezioni europee dell’anno prossimo) continua la politica degli annunci.
È così sulle pensioni, dove lo stesso Di Maio insiste che taglierà quelle «d’oro», salvo oscillare sulla cifra oltre la quale considerarle tali (ieri è sceso a «4 mila euro netti» al mese). È così sul «reddito di cittadinanza», cioè i 780 euro al mese garantiti a chi non ha questo reddito, salvo non spiegare se e come questo sussidio si integrerà con il Rei, il reddito di inclusione per i poveri. È così sulla «flat tax», che poi sarebbe meglio chiamare «dual tax» visto che le aliquote previste sono del 15 e del 20%, dove il governo non ha ancora chiarito se si partirà dalle imprese o dalle famiglie e in quanti anni potrà essere realizzata questa rivoluzione fiscale. Tempi e modi che l’esecutivo non ha il coraggio di dire che dipendono, appunto e di nuovo, dalle coperture. Che non sono una condanna biblica, ma il parametro che, direbbe il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, usa «il buon padre di famiglia» per assicurarsi che non vada tutto in rovina.
>Messaggi contraddittori generano confusione e incertezza. Che non fanno bene all’economia. Come i programmi faraonici di spesa del programma di governo si concilino con la volontà ribadita in Parlamento dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, di ridurre il debito pubblico dovrebbe chiarirlo lo stesso Conte. Ma finora non l’ha fatto. Assistiamo invece, ogni giorno, al libero corso dei desiderata dei ministri. Ancora Di Maio, a proposito del decreto «dignità», annuncia che le Camere potranno inserire nel provvedimento nuovi incentivi sulle assunzioni a tempo indeterminato. Con quali soldi?
Infine, va sgombrato il campo da un equivoco. Se l’idea del governo era, magari in buona fede, che una grossa mano sarebbe arrivata dalla crescita economica, purtroppo i segnali che vengono da ogni parte indicano una frenata del Pil. E certo la crescita non si aiuta mettendosi contro, col decreto «dignità», tutto il mondo imprenditoriale. Così come se l’idea era invece quella di forzare la mano in Europa, attenzione a non scherzare col fuoco. Lo scontro sui migranti, a prescindere da torti e ragioni, rappresenta già un rischio concreto per la tenuta dell’Unione Europea. Gli spazi per aprire nuovi fronti sul deficit e sul debito si sono ristretti e si ridurranno ancora quando verrà meno il sostegno della Bce con il quantitative easing. Tensioni politiche ed economiche senza precedenti inducono anche gli ottimisti per natura ad avere qualche timore sul futuro della casa comune europea. Anche su questo, soprattutto su questo, il presidente Conte dovrebbe dire una parola chiara. Il governo è consapevole della posta in gioco? E se sì, andrà avanti fino in fondo (fino al «piano B», direbbe il ministro Paolo Savona) o saprà avere la saggezza del «buon padre di famiglia»?