Fonte: La Repubblica
Ma c’è l’incognita Brexit che pesa su tutta la vicenda. L’operazione riguarda anche Piazza Affari, che è sotto il cappello del gruppo britannico. Parte il risiko delle Autorità presenti a Londra, l’Italia si candida come nuova sede
L’atteso supporto degli azionisti del London Stock Exchange, la Borsa di Londra che controlla anche Piazza Affari, è arrivato: con una maggioranza che rasenta l’unanimità, l’assemblea del Lse ha approvato la fusione con la Borsa di Francoforte. Il voto è stato favorevole per il 99,9% circa degli azionisti.
Il gruppo Lse aveva chiesto di supportare la fusione da 27 miliardi di dollari, fatta tutta sulla base di uno scambio azionario, e anche sulla scorta della fiducia nel raggiungere un accordo soddisfacente con le autorità di Bruxelles. Secondo gli azionisti contrari, la domanda legittima è: perché legarsi a una società che esprime un progetto comune che non si condivide, come hanno mostrato le urne? Ci sono poi scetticismi circa il fatto che la controparte – Deutsche Boerse – accetti a questo punto il matrimonio, visto l’esito del referendum sulla Brexit: entro il 12 luglio gli azionisti tedeschi devono rispondere all’offerta lanciata dalla società sulle azioni proprie, da mettere a servizio della fusione, e serve il 75% di adesioni. Questo passaggio è ritenuto più incerto, anche se da parte di entrambi i board è arrivato l’invito a procedere.
Si tratta di un’operazione che infatti non convince molti osservatori, a maggior ragione dopo la decisione sulla Brexit che potrebbe far perdere a Londra il “passaporto finanziario” di operatore Ue. La Bafin, l’ente di controllo tedesco sui mercati finanziari (l’equivalente della nostra Consob), ha già mostrato le proprie perplessità sul fatto che Londra possa essere la sede della super-Borsa nata dalla fusione. Anche il presidente della stessa Consob, Giuseppe Vegas, ha scritto al presidente della Lse Donald Brydon per chiedere un coinvolgimento dell’Autorità di vigilanza italiana in eventuali iniziative che coinvolgano Borsa Italiana a seguito della Brexit. Da Londra, insomma, potrebbero scappare in molti e forse non servirà nemmeno l’accorato appello del sindaco Sadiq Kahn, che oggi in una lettera aperta ha assicurato che la capitale britannica è “aperta alle imprese”.
Si tratta di una vicenda che arriva in una fase di ridisegnazione degli equilibri tra Londra e le altre aspiranti Piazze finanziarie. “Brexit per l’Italia può rappresentare un’occasione”, ha avuto modo di dire il del Consiglio, Matteo Renzi, nel fine settimana: vuole una task force “che coinvolgerà gli esponenti della finanza e dell’economia italiani che hanno un ruolo a livello europeo per portare in Italia tutto quello che si può portare”. L’attenzione, in questo caso, è in particolare per due Autorità sulle quali da tempo Roma ha messo gli occhi, vale a dire l’Ema (European Medicines Agency, l’agenzia del farmaco che occupa circa 600 persone) e l’Eba (European banking Authority, con circa 150 dipendenti di cui molti italiani), che hanno entrambe sede a Canary Wharf, centro direzionale ricavato nella vecchia zona portuale di Londra. Dalle rive del Tamigi potrebbero dunque traslocare al di qua delle Alpi e Milano si è già candidata per ospitarne almeno una, tanto che il sindaco Giuseppe Sala mercoledì volerà nella capitale britannica per gettare le basi di un possibile trasferimento. La strategia dell’accoglienza italiana non sarebbe comunque riservata solo agli enti pubblici, ma anche alle aziende, da attirare con vantaggi fiscali. Il governo sta infatti valutando la possibilità di creare due aree a fiscalità agevolata a Milano, nell’area ex Expo, e a Bagnoli per attrarre investimenti, magari proprio in fuga da Londra.
Anche la Francia, però, punta a “vincere” aziende (per usare le parole del ministro dell’Economia, Emmanuel Macron), così come la Germania: per Vodafone, per esempio, si è fatto avanti il land del Nord Reno Vestfalia, che ha candidato la città di Dusseldorf.