19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

La distanza tra la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Macron sulla Bce. E quelle ipotesi per sostituire Draghi all’Eurotower


L’area euro era riemersa dalle macerie del 2011 sulla base di un compromesso di fatto: una politica monetaria adatta a Paesi come l’Italia e la Francia, assetti di bilancio più graditi alla Germania. La Banca centrale europea ha portato i tassi sotto zero e ha creato moneta per comprare oltre duemila miliardi di titoli (in gran parte) pubblici, lasciando in minoranza la Bundesbank. Nel frattempo però non si è vista nessuna messa in comune di risorse fiscali, nessun embrione di bilancio della zona euro, mentre dal 2010 il deficit medio dell’area è stato tagliato senza sosta di quasi un punto di Pil all’anno. L’Italia ha vinto a Francoforte, ma la Germania non ha perso a Bruxelles.
Ora questo precario equilibrio rischia di andare in pezzi, perché sta iniziando la stagione in cui esso andrà rinegoziato. In primo luogo molte delle misure straordinarie della Bce potrebbero – in teoria – finire nel 2018. E durante gli stessi mesi, fra il voto tedesco di questo autunno e la campagna per le europee di metà 2019, si apre uno spazio per rivedere l’intero sistema di governo dell’euro: si sente parlare di un «ministro delle Finanze» e magari di un «Fondo monetario europeo».
Due grandi schemi in competizione sono già atterrati su tutti i tavoli. Emmanuel Macron è l’autore del primo, disegnato addolcire le politiche di bilancio e renderle più adatte a una grande economia con una sola moneta. Il presidente francese ha due proposte: deficit più elevati nella media della zona euro; e un bilancio comune dell’area da finanziare (in futuro) con quelli che sarebbero in sostanza eurobond, per investimenti nei Paesi più fragili e creare programmi contro la disoccupazione.
A Berlino la cancelliera Angela Merkel e Wolfgang Schäuble, il suo ministro delle Finanze, hanno una visione antitetica. Per loro il fondo salvataggi Esm diventerebbe un «Fondo monetario» governato da un diritto di veto riservato di fatto alla sola Germania, e dotato di poteri esecutivi di controllo sui bilanci dei singoli Paesi; Merkel e Schäuble respingono il progetto di un bilancio comune dell’euro, se non simbolico; ma prevedono opzioni di default automatico per ridurre il debito pregresso dei Paesi che dovessero chiedere un prestito di emergenza in Europa. Dunque, malgrado i sorrisi, Merkel e Macron sono capofila di due schieramenti contrapposti e l’Italia è schierata in questo completamente con la Francia.
Nessuno sa oggi come finirà questa partita, ma ha senso chiedersi quanto siano cambiati i principali protagonisti da quando nel 2012 emerse il compromesso attuale. Non abbastanza, per certi aspetti. Macron sta tentando alcune riforme in Francia, ma la sua tenuta non è ancora dimostrata e la reazione dei suoi elettori resta un’incognita. Quanto alla Germania, la misura della sua (inesistente) voglia di cambiamento è data dal silenzio di Merkel in campagna elettorale su qualunque argomento interessi il resto del mondo: la cancelliera finge di ignorare la posizione tedesca di leadership in Europa, non parla dell’euro e per lei sembra non esistere l’enorme surplus del suo Paese che preoccupa il resto del mondo. La Francia e l’Italia restano troppo deboli per imporre una svolta. La Germania si ritiene troppo forte per doverla accettare, aldilà delle apparenze. Jeroen Dijsselbloem, il presidente olandese dell’Eurogruppo, prevede già che il compromesso fra Parigi e Berlino prevederà «accordi contrattuali»: qualche soldo ai Paesi deboli in cambio di condizioni europee che li terrorizzano, data la macchia morale che il disastro umanitario della Grecia continua a rappresentare per Berlino. La sostanza è dunque che la struttura politica dell’area euro, nel complesso, non cambierà realmente; e la Bce dovrà continuare a farsi carico delle voragini che si aprono in un’area a moneta unica senza lo straccio di un bilancio comune. Tutto ciò suggerisce che la transizione di Jens Weidmann dalla guida della Bundesbank a quella Bce, nel 2019, finirà come quella del suo predecessore Axel Weber: insabbiata dalla riluttanza della stessa cancelliera. Capisce anche lei che deve lasciare almeno la politica monetaria come cuscinetto agli altri Paesi. François Villeroy de Galhau, governatore francese, appare oggi il favorito per la successione a Mario Draghi. Se poi non passasse lui, può toccare a un nome al quale è difficile per chiunque dire di no: Christine Lagarde del Fondo monetario. Quello vero però.

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