Sul tavolo della maggioranza di governo anche la trattativa per la legge elettorale
Se in questi giorni autorevoli dirigenti del Pd di correnti diverse hanno incontrato separatamente Salvini e Meloni per discutere di Quirinale e legge elettorale, c’è un motivo. Anzi, due. Il primo è che sono consci di non avere un blocco numerico abbastanza coeso per eleggere al Colle un proprio candidato d’area. Il secondo è che sono persuasi di dover modificare la legge elettorale se vogliono competere in prospettiva per la (ri)conquista di palazzo Chigi. La trattativa del Pd con i grillini per candidati comuni alle Amministrative sta dimostrando che le preoccupazioni sono fondate. Perché al dunque il centrodestra trova sempre il modo di compattarsi quando si approssima la sfida delle urne. Nonostante la competizione ruvida, talvolta al limite della scorrettezza, tra Lega e Fdi. Nonostante un pezzo della coalizione stia in maggioranza e un’altra all’opposizione.
Al contrario il centrosinistra, «o come si chiama adesso», si avvicina al voto dividendosi. E malgrado democratici e cinquestelle stiano insieme ormai da due governi, i muri politici e i toni polemici che si alzano rivelano ancora come gli uni riconoscano negli altri degli avversari. Al punto che ieri la Appendino ha annunciato l’indisponibilità dei M5S a votare a Torino per il candidato dem, semmai arrivasse al ballottaggio. Sia chiaro: la situazione non ipoteca il risultato delle elezioni d’autunno. Il pd Boccia già oggi scommette che «alla fine vinceremo noi 4-1» nelle cinque città più importanti. Ma non c’è dubbio — come spiega Quagliariello per Cambiamo — che «i giallorossi stanno rendendo contendibile una partita nella quale, sulla carta, partiamo nettamente sfavoriti».
È questa la risultanza di uno scontro asimmetrico, tra una coalizione che c’è e un’altra che quantomeno non c’è ancora. Ed è vero che Salvini e Meloni continuano a scambiarsi colpi per il primato nel centrodestra, litigando (anche) sui nomi dei candidati sindaci. La riunione del centrodestra di oggi potrebbe concludersi con un’intesa di massima su Torino e su Napoli, oltre che sulla Calabria, ma non sarà risolutiva per Milano e Roma, dove è in atto il braccio di ferro tra i leader della Lega e di Fratelli d’Italia, e si fatica sui nomi da scegliere.
Il problema è che sull’altro fronte il conflitto ha una diversa dimensione, evidenzia un nodo politico tale che nei capannelli di deputati democrat a Montecitorio l’alleanza virtuale tra Pd e M5S viene definita «la laguna dei disperati». Sono battute che evidenziano due diverse strategie per l’egemonia nel perimetro giallorosso. Da una parte c’è Letta, che — per dirla con un esponente della sua segreteria — mira a una «progressiva annessione morbida dell’ala governista grillina». Dall’altra c’è Di Maio, che ha l’ambizione di allearsi con un Pd ridotto addirittura a «costola del Movimento», mettendo in conto di lasciare sul campo la leadership di Conte.
Proprio la figura dell’ex premier è oggetto di analisi tra i maggiorenti democratici, alla luce degli eventi. Alcuni ritengono sia «complicato per lui esercitare un ruolo una volta lasciato palazzo Chigi». Che poi è l’altra faccia della medaglia rispetto a quanti — con tono critico verso Letta — si chiedono se sia (stato) giusto «puntare all’intesa con Conte, visto che dietro Conte nel Movimento non c’è nessuno». Ma gli uomini del segretario ritengono che la partita per costruire l’alleanza sia solo all’inizio, e guardano alle mosse di Di Maio, indicato come «il futuro capo di una sorta di Udc meridionale». Così i due blocchi si preparano alla sfida nei più importanti capoluoghi del Paese, tappa di avvicinamento per la sfida di Palazzo: la corsa al Quirinale. Allora si delineeranno i contorni della nuova geografia politica e si capirà se e come verrà modificata la legge che più interessa ai partiti: quella elettorale.