19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Cameron

di Beppe Severgnini

Se la Gran Bretagna uscisse dall’Unione europea andrebbe contro i suoi stessi interessi

Tutto lascia credere che, nel referendum sulla permanenza nell’Unione Europea, il 23 giugno, i cittadini britannici voteranno in modo emotivo. E questo costituisce una pericolosa novità. Se gli inglesi votassero razionalmente — scozzesi, gallesi e nordirlandesi lo faranno — l’esito dovrebbe essere scontato. Brexit — l’uscita dalla Ue — sarebbe giudicata per ciò che è: un errore. Un errore economico, finanziario, diplomatico, giuridico e storico. Solo due numeri, tra i molti che potrebbero essere portati come prove: dalla Ue dipendono 3,5 milioni di posti di lavoro in Gran Bretagna; quasi metà dell’export è diretto verso altri Paesi Ue. La City, certamente, dovrebbe rinunciare al ruolo di principale centro finanziario europeo. Gli investitori, ha scritto Hugo Dixon, «non hanno ancora registrato il rischio Brexit»: ma lo faranno presto. La sterlina, negli ultimi tre mesi, ha perso il 9% sull’euro. Non è un caso.

Brexit sarebbe un errore diplomatico. L’articolo 50 del Trattato di Lisbona — quello che permette e regola il ritiro dall’Unione — è chiaro, in proposito. «Lo Stato membro che si ritira non parteciperà alle discussioni del Consiglio europeo» sulle «modalità del ritiro» e «i futuri accordi con l’Unione Europea». In sostanza, il futuro del Regno Unito in Europa verrà deciso dagli europei, senza che i britannici possano metter bocca. E gli europei, c’è da immaginare, quel giorno non saranno magnanimi.

Brexit sarebbe un errore giuridico. O meglio, un’infantile assurdità. «Riprendiamoci la sovranità!», gridano i campioni della Brexit, ripetendo gli slogan di tutti i movimenti sfascisti d’Europa. C’è un problema: il Regno Unito fa parte, oggi, di circa 700 organismi internazionali. La condivisione di parte della sovranità è un segno di civiltà e una necessità contemporanea. La sicurezza, i mercati, i trasporti, i mercati, i mari: se il mondo gira, è anche perché molte decisioni si condividono. Ha scritto The Economist: «Se la sovranità fosse l’assenza di interferenza reciproca, il Paese più sovrano al mondo sarebbe la Corea del Nord».

Brexit sarebbe un errore storico. Nei momenti più drammatici del continente, gli inglesi erano in Europa e con l’Europa. La sfida al comunismo sovietico. La resistenza al nazismo. Il contenimento prima di Napoleone e poi della Russia zarista. Giorni fa lo storico Niall Ferguson ha ricordato: «Mezzo millennio fa Enrico VIII poteva ancora avanzare pretese sulla corona di Francia. Ma il cardinal Wolsey era più lungimirante e capì che i monarchi della cristianità dovevano unire le forze contro gli Ottomani. Fu questo uno dei motivi per cui Wolsey fece incontrare Enrico e Francesco, re di Francia. Il ragionamento del cardinale era giusto. Mentre l’Europa si spaccava sulla Riforma, gli eserciti del sultano assediarono Vienna due volte, nel 1529 e nel 1683»

L’economia, la finanza, la diplomazia, la legge e la storia spingono, quindi, nella stessa direzione. Non basta? No, purtroppo. Contro di loro gioca un avversario impetuoso: l’emozione. Lo smottamento del Nord Africa e del Medio Oriente, le migrazioni dei popoli, la confusione egoista nell’accoglienza, i passi falsi dell’euro e i passi lenti dell’economia continentale, la confusione della Francia, le ansie della Germania, l’involuzione di Polonia e Ungheria, l’aggressività della Russia. Sono molte le novità che spaventano, e inducono gli inglesi a cercare protezione nelle nostalgie imperiali, nelle fantasie isolane e nelle simpatie per questo o quel personaggio (il sindaco di Londra, Boris Johnson, è cinico e non crede in ciò che dice: ma non va sottovalutato). Un popolo razionale potrebbe, fra quattro mesi, prendere una decisione emotiva. Winston Churchill sarebbe inorridito. Gli estimatori del Regno Unito per adesso, sono solo preoccupati-

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